Fano, 5 febbraio 2021
Tema
Perdersi in montagna non è raro. Quando capita, si cerca un segnale, un punto di riferimento per ritrovare la via. Allora ci si attacca a tutto. Un muschio rossiccio a duecento metri di distanza diventa un segnale Cai, un nastro di plastica mezzo strappato é un “qui qualcuno c’è passato”, un mucchietto di sassi diventa il soccorso lasciato da qualche anima pia passata prima di noi. Segnali, viviamo alla ricerca di segnali.
colonna sonora
Franco Battiato, Segnali di vita, album: La voce del padrone, 1981
al cinema
“Al mio segnale, scatenate l’inferno!” da il Gladiatore
proposto da Giulia T.
Svolgimento
pensieri
Non esistono segnali che ci avvertano all’inizio di un giorno particolare, diverso dagli altri, destinato a centrifugare la nostra esistenza. La data di una gran vincita alla lotteria e le ennesime ventiquattr’ore insipide si presentano, in genere, allo stesso modo. Basterebbe una sirena, una semplice luce lampeggiante, la telefonata di una vecchia zia che ti chiama dopo anni per benedirti, qualcosa, insomma, che ti metta in guardia e ti sussurri: «Posa le buste della spesa, imbecille… stai per conoscere la moretta seduta alla cassa: ti darà quattro figli e poi scapperà col macellaio», oppure: «Preparati, oggi il tram ti passerà sui piedi.
Quella unicità imprevista ci colpisce spesso all’improvviso e nell’indifferenza del mondo circostante. Il nostro dovere è farci trovare impreparati.
Marco Presta, Il piantagrane, Einaudi
A volte i segnali ci sono, ma siamo noi a non volerli vedere
Giulia T.
A volte i segnali li cogliamo al mattino: alziamo la serranda e le dita rosate dell’aurora ci danno il buon giorno, a volte li vediamo durante la giornata, grida e sorrisi di bimbi, altre volte arrivano la sera, sul balcone, guardiamo in alto e la luna risplende. Sono tutti segnali di vita.
Caterina B.
arguzie
Dobbiamo abituarci all’idea: ai più importanti bivi della vita, non c’è segnaletica.
Ernest Hemingway
Segnali di fumo… Haug
proposto da Pino F.
tante parole, il testo lungo
Fare attenzione alle cose che succedono intorno, preparare con cura il futuro e muoversi tutti insieme a tempo debito. Mettetevi comodi e prendetevi 6/7 minuti di tempo, magari vi viene la voglia di rileggere la “Fattoria degli animali”.
il segnale della ritirata … il segnale dell’attacco
Agli inizi di ottobre, quando ormai il grano era stato tagliato e ammassato e, in parte, trebbiato, uno stormo di piccioni giunse vorticando per l’aria e atterrò nel cortile della Fattoria degli animali, in uno stato di estrema agitazione. Jones e i suoi uomini, più una mezza dozzina venuti da Foxwood e da Pinchfield, avevano oltrepassato il cancello dalle cinque sbarre di ferro e stavano risalendo lo stradello che conduceva alla fattoria. Portavano tutti dei bastoni, tranne Jones, il quale marciava alla testa di tutti con un fucile in mano. Era ovvio che si apprestavano a tentare di riconquistare la fattoria.
Questa non era una cosa inaspettata, tutt’altro, e grandi preparativi erano stati fatti. Palla di Neve, il quale aveva studiato un vecchio libro dedicato alle campagne militari di Giulio Cesare che aveva trovato nella casa padronale, era stato incaricato delle operazioni di difesa. Impartiva rapido i suoi ordini e, dopo un paio di minuti, ogni animale era al proprio posto.
Mentre gli esseri umani si avvicinavano agli edifici della fattoria, Palla di Neve lanciò il primo assalto. Tutti i piccioni, che erano trentacinque, volarono avanti e indietro sulla testa degli uomini e fecero cadere i loro escrementi da mezz’aria; e mentre gli uomini erano tenuti impegnati da questo, le oche, che erano rimaste nascoste dietro la siepe, si precipitarono fuori e, con cattiveria, li beccarono ai polpacci. Questa, però, era soltanto una piccola schermaglia diversiva, che aveva lo scopo di creare un po’ di disordine; e, infatti, non ci volle molto perché gli uomini allontanassero le oche con i loro bastoni. Allora, Palla di Neve sferrò il secondo attacco. Muriel, Benjamin e tutte le pecore, con Palla di Neve in testa, si slanciarono in avanti e spinsero e colpirono a testate gli uomini da ogni lato, mentre Benjamin girava loro intorno e sferrava calci con i suoi piccoli zoccoli. Una volta ancora, però, gli uomini, con i bastoni e gli stivali chiodati, si rivelarono troppo forti per loro; e di colpo, a un verso acuto di Palla di Neve – era questo il segnale della ritirata – tutti gli animali girarono sui tacchi e corsero nel cortile attraversando il cancello.
Gli uomini lanciarono un grido di trionfo. Videro – o così immaginarono – il nemico in fuga e lo inseguirono disordinatamente. E questo era proprio ciò che Palla di Neve voleva accadesse. Non appena essi furono dentro il granaio, i tre cavalli, le tre mucche e il resto dei maiali, che erano rimasti in agguato nella stalla, sbucarono d’improvviso da dietro, tagliando loro la strada. Palla di Neve diede allora il segnale dell’attacco. Si scagliò a testa bassa verso Jones. Jones lo vide arrivare, sollevò il fucile e sparò. Le pallottole, scalfendo il dorso di Palla di Neve, ne fecero scorrere rivoli di sangue e una pecora cadde a terra morta. Senza arrestarsi per un solo istante, Palla di Neve abbatté contro le gambe di Jones i suoi novantacinque chili. Jones fu sbalzato in un cumulo di letame e il fucile gli sfuggì di mano.
Lo spettacolo più terrificante di tutti era però Boxer, il quale, sollevandosi sulle zampe posteriori, come un vero stallone menava colpi con i suoi grandi zoccoli ferrati. Il primo prese in piena testa uno stalliere di Foxwood e lo fece cadere nel fango, esanime. A questa scena, parecchi uomini abbandonarono i bastoni e provarono a fuggire. Il panico li travolse e, un momento più tardi, tutti gli animali, insieme, li stavano rincorrendo attorno al cortile. Essi furono incornati, scalciati, morsi, calpestati. Non un solo animale, ognuno a suo modo, si trattenne dal prendersi la sua vendetta su di loro. Persino la gatta, d’improvviso, balzò giù da un tetto e atterrò sulle spalle di un mandriano: gli ficcò gli artigli nel collo e questi gridò in modo orribile. In un momento in cui parve aprirsi una via di fuga, gli uomini furono fin troppo felici di precipitarsi fuori dal cortile e correre a perdifiato fino alla via principale. E così, nel giro di cinque minuti – tanto era durata la loro invasione -, eccoli tutti impegnati in una ritirata ignominiosa lungo la strada che avevano percorso per arrivare lì, mentre un branco di oche li inseguiva sibilando e beccandoli ai polpacci.
Tutti gli uomini se n’erano andati, tranne uno. Nella parte posteriore del cortile, Boxer stava toccando con lo zoccolo lo stalliere che giaceva a faccia in giù nel fango, cercando di rivoltarlo. Il ragazzo non si muoveva.
«È morto» disse Boxer con voce piena di tristezza. «Ma io non avevo intenzione di farlo. Avevo scordato che i miei zoccoli sono di ferro. Chi crederà mai che non l’ho fatto apposta?»
«Bando al sentimentalismo, compagno!» gridò Palla di Neve, dalle cui ferite gocciolava ancora il sangue. «La guerra è guerra. L’unico uomo buono è quello morto.»
«Io non desidero togliere la vita a qualcuno, neanche a un essere umano» ripete Boxer, con gli occhi pieni di lacrime.
George Orwell, La fattoria degli animali, Mondadori
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