numero 19 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – febbraio 2022
È una strana estate di San Martino, tiepida come di regola, lunga più del solito ma straordinariamente piovosa. Per questo non ci sembra vero, dopo un venerdì migliore delle previsioni, approfittare del meteo insperatamente favorevole e partire di buon mattino (sono le 7,36 quando partiamo da casa) di sabato 20 novembre 2021 alla volta del Monte Cacume (h. m. 1.095, quota ideale per la stagione; discreto il dislivello: mt. 650), a ripercorrere l’escursione accompagnata da Bruno sulla bella cima dei Lepini il 17 ottobre 2020.
Roma-Napoli, uscita a Ferentino, strada provinciale per Supino. E arrivati a Supino già ci perdiamo: credevamo di dover oltrepassare il paese e uscire dall’altra parte; invece, abbiamo lisciato la rotatoria all’inizio del paese, dove bisogna prendere a sinistra. Ma questo lo sanno solo gli indigeni perché il cartello per Patrica non c’è. Comunque, è l’occasione per un breve tour automobilistico del paesino, purtroppo esposto male quanto a sole e ristrutturato senza amore nelle sue casette forse un tempo graziose.
Ritornati indietro, prendiamo la strada giusta e con pochi tornanti arriviamo al piccolo parcheggio che precede lo “strano tunnel” di cui parla Luciano nel suo resoconto e dal quale si accede al paese. I due sentieri, il 726 e il 730, partono dalla scala in pietra alla sinistra del tunnel. Una coppia di giovani escursionisti in tenuta molto tecnica e bastoncini già si sta avviando a salire. Noi no. Indossati gli scarponi, il primo obiettivo è un forno, dove comprare i biscotti paesani che tanto ci piacciono. La cosa è seria: stiamo conducendo uno studio comparato sulle ciambelline al vino dei paesi del frusinate. Ed effettivamente il forno c’è, un buchetto lindo e ordinato (tutte donne all’interno!), da cui emana un profumo da sturbo alle 9 di mattina. E allora vai di ravioli al cioccolato e castagne, ciambelle di San Rocco, giglietti (più delicati di quelli mangiati a Castel San Pietro Romano), ciambelle da zuppa. E, naturalmente, ciambelline al vino, che qui fanno molto piccole, ricche di anice e ben biscottate. E abbiamo fatto bene a venire di mattina, prima della salita al monte, perché al pomeriggio, ci spiegano, il negozietto è chiuso, in quanto le signore si dedicano a preparare a casa i dolci più elaborati, come le casette natalizie di frolla, esposte in una vetrinetta, che richiedono più tempo e attenzione.
Stivato il malloppo in macchina (ma un sacchetto ce lo infiliamo nello zaino per la seconda colazione e il dopopranzo), affrontiamo la scalinata, prendiamo a destra e subito inizia la salita, introdotta da una lastra metallica con su incisi i versi nei quali Dante nel suo Purgatorio (IV, 26) cita il Monte Cacume, orgoglio di Patrica. Fra gli studiosi danteschi c’è dibattito: forse Dante usa la parola nel significato generico di cima e si riferisce semplicemente alla vetta della Pietra di Bismantova menzionata poco prima, ma non può escludersi che, in occasione di un’ambasceria ad Anagni presso Bonifacio VIII o a Napoli presso Carlo Martello, Dante abbia effettivamente visto quel monte dalla singolare sagoma piramidale, riconoscibilissima dall’autostrada Roma-Napoli (no, l’autostrada non c’era ai tempi di Dante, ma la strada sempre di lì passava).
Sia come sia, il Comune di Patrica non ci ha pensato su due volte a sfruttare a fini turistici la circostanza del settimo centenario della morte di Dante, trasformando il Cacume nel Purgatorio e il già esistente sentiero del Cai nell’itinerario del sommo fiorentino. Un lavoro encomiabile, realizzato in soli cinque mesi e in piena pandemia, poetico e per nulla kitsch. Così il sentiero, che ogni tanto si allarga in qualche pianoro, ma perlopiù corre scavato nella roccia calcareo-cretacea (diventando in qualche tratto una sorta di ruscelletto, per le abbondanti piogge cadute nei giorni precedenti), è ora scandito da lastre di metallo brunito che ci avvertono del passaggio da un ripiano all’altro dell’Antipurgatorio e da una cornice all’altra del Purgatorio. Inoltre, sagome metalliche stilizzate ci attendono, a rievocare i personaggi principali che Dante incontra nella seconda Cantica, nonché la scena della caduta di Lucifero, esempio di superbia, scolpita sulla prima cornice.
Il sentiero è comodo è breve, adatto a tutti purché con calzatura adatta; in due ore, fermandoci a guardare il paesaggio (bellissimo il colpo d’occhio sul paese di Patrica, che si allontana progressivamente), a fare foto, ad alleggerirci dei panni, a sgranocchiare biscottini, a chiacchierare, a rinnovare l’acqua delle borracce al fontanile, dopo un ultimo tratto scoperto e più erto, siamo in vetta, dove troviamo diversi “colleghi”, saliti in solitaria o a coppie o a gruppi sparuti (non dimentichiamoci del covid!). L’austera chiesetta è chiusa ma attraverso la cancellata si vede bene l’interno, dove è già (o ancora?) allestito anche un presepiuccio. Molti non sanno trattenersi dal tirare la corda della campanella. Alcuni mangiucchiano, altri fanno foto o spìano dentro il cannocchiale ad uso dei turisti. Non mancano delle panchine recenti in travertino e una gran croce alta 14 metri, issata nel 1903. Il paesaggio tutt’intorno spazia dalle cime degli Aurunci agli Ausoni al vicino Monte Gemma ed al lontano ma non troppo promontorio del Circeo. Per il pranzo è presto e tira una giannetta fresca, come direbbe Pasolini; perciò, ci avviamo in discesa e mangeremo i nostri panini (stavolta solo prosciutto cotto!) seduti al sole su un muretto della piazzetta dove inizia (o finisce) il sentiero. A farci compagnia tre cani pigroni sdraiati sull’asfalto. Poi un rapido giro per il paese, che è tanto assolato visto da lontano, ma tanto buio e umido nei suoi vicoletti. Dove, accanto a poche abitazioni abitate e ben tenute, c’è la desolazione di tante vecchie case dai portoni sfondati e preda del muschio e dell’incuria, destino di tanti dei nostri bei paesi del centro-sud. Due chiese di dimensioni spropositate, San Pietro, la più grande della diocesi, e San Giovanni Battista, che sembrano entrambe chiuse da tempo immemore. Forse funziona soltanto la più piccola chiesa di San Rocco, collegata da una scala interna a San Pietro, ma a quest’ora è chiusa. Il Comune, anche in questo, fa quello che può e pubblicizza un itinerario fra i caratteristici bei portali in peperino sparsi fra le dimore del luogo. Da quello più antico, datato 1598, in semplice e maestoso bugnato, si affaccia una sorridente anziana signora. La salutiamo e raggiungiamo l’automobile per riprendere la via di casa. Abbiamo proprio fatto bene a concederci questa fuga dalla città. Dall’indomani piove di nuovo, e anche oggi che scrivo, otto giorni dopo, continua a piovere.
Marina M.