numero 22 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – agosto 2022
L’ultima volta chiudevo il racconto così: “Recarsi a Tivoli per studiare era troppo complicato: Enrico era vicino alla maturità, io facevo il ginnasio e Angelo ormai la terza media; le sorelle Maria e Lina, che avevano interrotto gli studi, dovevano riprenderli; Franca, che di scuola non aveva voglia, avrebbe potuto trovare a Roma un lavoro come dattilografa… Vittorio, ormai laureato, si sarebbe presto sposato, andando ad insegnare al liceo privato dell’Aquila”.
Veramente con la venuta a Roma comincia per me un’altra storia. Eccoci trasferiti alla periferica Centocelle, da dove noi ragazzi quattordicenni la domenica “andavamo a Roma” pe’ vedé de rimorchià. I miei genitori a Centocelle, dove ci avevano preceduto altri parenti da Castel Madama, avevano comprato casa, vendendo anche i … beni di famiglia (pianoforte e preziosi orecchini di mamma), contraendo debiti con qualche benestante del paese e accendendo un mutuo.
La casa, così acquistata, in via delle Giunchiglie 51, doveva ancora essere ultimata: di giorno i muratori finivano di costruire il muro di cinta. Noi, che eravamo al pianterreno del palazzo e quindi godevamo anche di un giardino da dissodare, abitavamo in tre stanze (più bagno e cucina), una per i maschi, una per le femmine, una per i genitori. Si mangiava in cucina. Oggi per me e per Elsa la nostra casa di 100 metri è pure troppo grande; invece, il mio amico bangladesh con moglie e tre figli cerca in affitto 55-60 metri quadrati per non andare oltre i 700 Euro mensili.
A tavola, per effetto dei debiti contratti, si stringeva la cinta: pasta e mortadella o minestra di pasta e patate, che a mamma non piaceva proprio e, allora, mi ricordo che più e più volte rigirava il cucchiaio nel piatto. E noi a dirle: “Ma perché la fai, se non ti piace?”. Risposta laconica: “Perché costa poco”.
A sera qualche volta la cena era un po’ originale: mezzo bicchiere di vino e pezzi di pane. Una originalità che trovava la sua spiegazione nel fatto che papà era impiegato come commesso alla mensa del Ministero dell’Aeronautica; e che ti faceva? Raccoglieva e chirurgicamente resecava i pezzi di pane lasciati sulle tavole dai commensali e recuperava i fondi di vino delle bottiglie. Però a fine pasto avevamo la frutta! Sempre mele, che papà riportava dal Ministero, perché un po’ troppo piccole per i commensali. Veramente le cinque o sei più piccole le scambiava con altrettante (quasi eguali, si giustificava mio padre), che avrebbe dovuto distribuire ai medesimi.
Avevamo un pollaio e le uova delle galline erano una risorsa …; e ricordo la corsa al nido di qualcuno di noi per raccogliere l’uovo, al sentire il coccodè della gallina.
Io, sebbene ormai fossi a Roma, frequentavo ancora il collegio salesiano; eppure avevo manifestato a mia madre il desiderio di essere iscritto al liceo romano Albertelli (già Umberto I) nei pressi di S. Santa Maria Maggiore, il più vicino a Centocelle.
Era successo però che a lei, che si era recata all’Istituto salesiano a ritirare la documentazione necessaria per iscrivermi all’Albertelli, il Direttore del Sacro Cuore, dove stavo completando il ginnasio, aveva rivolto un caldo invito a soprassedere, la retta sarebbe stata ulteriormente ridotta; e poi si trattava ormai dell’ultimo anno, argomentava. Perciò frequentai i Salesiani da convittore esterno. E mi toccò essere testimone di un altro comportamento manifestamente antipedagogico di quella Dirigenza: il Corriere dello Sport, per il quale alcuni “interni” si mettevano in lista per l’acquisto il lunedì successivo alla domenica calcistica, veniva privato delle foto pubblicitarie di Silvana Pampanini (per esempio) a cosce scoperte… Qualcuno di noi esterni, però, si industriava per far entrare il giornale … a cosce scoperte.
Un altro penoso ricordo di quell’esperienza salesiana sono i confessori, che si strusciavano e sbavano sulle nostre guance … C’era però tra i confessori anche il bravo don La Terza, ex cappellano militare che, come professore di matematica, dietro ragionamento mi insegnò a capirla e ad amarla, a partire dalle quattro operazioni di base.
Resta da spiegare l’insistenza con cui mia madre fu invitata a soprassedere alla mia uscita dal ginnasio salesiano: me la spiegò il mio professore di greco, quando qualche anno dopo lo andai a trovare: erano convinti che io avrei potuto convintamente proseguire gli studi dai Salesiani, per diventare alla fine uno di loro. Lui aveva cercato di dissuaderli, convinto che altre sarebbero state le mie scelte di vita … Professore profetico, perché io negli anni del liceo maturai la fine della mia esperienza religiosa, approdando ad un agnosticismo convinto: la crisi durò alcuni anni, al termine della quale, non senza lacerazioni interiori, arrivai ad una concezione laica della vita; diciamo pure atea.
Gualtiero
Grazie Gualtiero di questo scritto che mi ha commosso. E mi ha consentito di conoscerti meglio.
Grazie zio! Sto apprendendo mille toccanti storie della mia famiglia che neppure mia madre era riuscita a trasmettermi. Le nostre radici sono davvero fondamentali per capire noi stessi.
Non ho più letto i tuoi libri, ma quando cominciò uno dei tuoi racconti, mi accorgo solo alla fine che ho letto tutto d’un fiato. Per vedere come va a finire…