Viva la curiosità

Chi pocu parla, poca pena pate

Redazione

lbaldini


 Viva la curiosità
di Gualtiero


n. 2 – 27 novembre 2023



A me le etimologie sono sempre piaciute un bel po’. Spiegarmi il significato delle parole mi intrigava. Quando ho scelto – come ho scritto nel brano precedente –  la “Facoltà di Lettere Moderne” (come si chiamava ai miei tempi, 1954 e successivi), le lezioni che seguivo con più interesse erano quelle di “Momenti di Storia della Lingua Italiana”, perché il prof. Schiaffini era capace di tenerci incantati anche per un’ora sulla stessa parola. Ricordo quel giorno che ci presentò “bureau”, significato “legno”, ma poi “tavolo”, “tavolo d’ufficio”, e ancora e direttamente “Ufficio”. Poi ci chiese con la solita affabile naturalezza se conoscevamo il significato della statunitense FBI. E fra di noi naturalmente chi sì e chi no; e si chiarì per tutti che FBI significava “Federal Bureau of Investigation” (Ufficio Federale di Investigazione). Ma Bureau ne aveva fatta di strada!

Già da ragazzo (vivevo a Castel Madama, dov’ero nato; lo sapete) mi incuriosivano parole e detti che non conoscevo e l’etimologia di parole a me note. E così, con il bagaglio delle mie  prime conoscenze del latino, scoprii che fra noi castellani l’influenza invernale si chiamava “mprudenzia” (dal latino “imprudentia”) e la richiesta di pace, quando eravamo rincorsi da un compagno, era “cunicenzia” (dal latino “cum licentia”).

A quei tempi la parola che mi colpisce di più è quella per indicare una grave malattia al petto: fra di loro i grandi la chiamavano “j’anginu ‘mpettu” (l’ancino in petto) ed era la traduzione letterale dell’angosciante “angina pectoris”! Adesso siamo entrati nel settore specifico che si chiama dell’etimologia popolare. Ma qui mi fermo, per parlare un po’ della figura e del ruolo dell’anziano che più mi colpiva; e mi ricordo di alcune righe che ho scritto qualche tempo fa: Gli anziani. Erano un punto di riferimento importante per noi. In famiglia erano loro che decidevano le cose, il loro parere era fondamentale. E parlavano poco: solo le parole essenziali, se ‘na parola era pocu, doa eranu troppe. E noi giovani? Noi non avevamo voce in capitolo. Se ti intromettevi in un discorso fra grandi, prima o poi, qualcuno ti zittiva: “tu parla, cannu piscianu le caine”. Parlare poco, perché – (lo ricordate il titolo di queste righe?) – chi pocu parla, poca pena pate e, soprattutto, perché si evita di dire cose ovvie, pure e semplici banalità, tipo “se la vecchia ‘n ze morèa, ancora campéa”. Ho detto che noi ragazzi “non avevamo voce in capitolo”. Ma eccola un’altra espressione che richiede qualche chiarimento. Nei conventi, nelle abbazie (o abazie, fate voi) c’erano dei monaci e nei complessi più importanti c’erano tanti monaci; e i più anziani costituivano il Capitolo, che li governava, prendendo le decisioni organizzative, che regolavano la convivenza di quelle comunità. Perciò, non avere voce in capitolo voleva dire, e ancora oggi vuol dire: non avere la parola nelle riunioni che decidono la vita del convento e dell’abazia. Troppa rigidità, troppo centralismo, anche se democratico? Può darsi, ma io lo preferisco all’andazzo, secondo il quale ognuno la spara come gli pare… ; e, per di più, in mezzo alle tante “fake news” che sempre più ci inondano: è cosi che si fa intricato per me distinguere il vero dal falso, il bene da male; e il politicamente giusto e ingiusto. Sarà per queste ragioni che io mi sento sempre più fuori dall’acqua; proprio come un pesce. Di conseguenza, in certe situazioni, per esempio nelle riunioni politiche, mi ritrovo muto, come quel pesce!

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