Viva la curiosità
di Gualtiero
speciale Epifania 2024 – 4 gennaio 2024
Il Capodanno col cenone, i botti e lo spumante a mezzanotte, all’entrata dell’anno nuovo, ha una tradizione recente: roba da civiltà radiotelevisiva. Capodanno una volta era una festa in sordina, c’era poco da scialare: a Capudannu se rennovea Natale e basta, commentano le testimonianze unanimi. Alla sera non si aspettava mezzanotte per festeggiare l’anno nuovo: non c’era proprio luce (di candela o di lume a petrolio) da sprecare. Ti potevi rimangiare giusto i maccheroni col sugo all’aglio, con dentro un po’ di tonno, se te l’eri potuto comprare a Natale e t’era avanzato. In Chiesa si recitava il “Te Deum” di ringraziamento per l’anno appena compiuto e alla predeca de fineannu il prete faceva il resoconto dei nati, dei matrimoni e dei morti: tanti, tanti e tanti. Ma dentro i numeri ogni parrocchiano metteva mentalmente i nomi. Morti: Giachimo, Micchilina, sor Angelo, Ghituccia; sposi: Giovanni s’era piatu Margarita e ‘Ndonio Letizia; nati: Micchele, Frangesca, Dargisa, Luigino…
Le “Quarantore” di adorazione consentivano a tutti di assolvere al loro dovere di bravi cristiani. Con l’Epifania si chiudeva il ciclo delle feste. C’era sempre qualcuno che diceva: “Pasqua Befania, tutte le feste porta via”. Ma la mattina della Befana, dopo una notte che ci sembrava di aver trascorso insonni, noi bambini ci svegliavamo che non era ancora l’alba e piano piano, per non farci sentire, andavamo fino al camino a vedere se c’era la calza. E ogni anno il rito si era compiuto: la calza c’era! Stava là, attaccata al chiodo sul camino, cacata dalla Befana, che sulla scopa passava tutta la notte a volare da un camino all’altro, da un bambino all’altro. La calza stava al suo posto, dritta e turgida, piena di ogni ben di Dio: peracotte, nuci e ficocci e, ancora, ‘n merangulu o doa e ca’ sordo, ma era già una calza privilegiata. Non mancava qualche pezzo di carbone (vero) e un po’ di cenere, per le volte che si era stati cattivi. Il giorno della Befana anche i fidanzati si scambiavano i doni; e pure alla mangiatoia degli animali, la sera prima, si metteva un po’ di fieno in più, sennò le véstie te diceanu male. Quando a sera si andava a baciare il Bambinello, nel momento che lo baciavi sentivi che le feste erano davvero finite. Non per tutti, però. Perché, se è veru che de Natale s’aremmutanu le villane, doppu de Pasqua Befania s’aremmuta la signoria: come a dire che per loro, i signori, era sempre festa.
Grazie Gual. Letto in treno ormai quasi a carnevale. Un quadro d’altri tempi e non di un solo luogo. Dalle mie parti in chiesa era proprio così.