racconti dalla quarantena: resoconti di giornate fra cucina e soggiorno percorrendo viaggi fantastici o meno.
Roma, 24 marzo 2020
Seconda settimana e un pezzettino della terza: com’è andata
Esaurita, quasi, la frenesia delle faccende domestiche straordinarie, non so voi ma io comincio a vacillare un po’ quanto a fermezza di propositi. C’è da dire che per me non è stata una gran settimana. Se n’è andata una giovane amica, non per il virus ma dopo quasi quattro anni di malattia. E non poterla salutare per l’ultima volta, per le necessarie restrizioni, è stato un dolore nel dolore. Anche i flash mob delle 18 nel mio comprensorio si sono “smosciati”, sarà perché è l’ora del bollettino di Borrelli, che ci toglie la voglia di cantare. Anche se, come diceva Luca Barbarossa per radio, senza necessariamente evocare i funerali di New Orleans, è un pregiudizio concepire la musica come antitetica al lutto. E per questo, venerdì mattina alle 11 noi di casa abbiamo messo le casse della radio sul balcone e cantato a gola spiegata, partecipando all’appuntamento dato dalle radio di tutta Italia: alle finestre trenta partecipanti secondo noi organizzatori, quindici secondo la questura. In ogni caso, vivi prolungati applausi.
Il nervosismo è sotterraneo: apparentemente sono tranquilla, un po’ di faccende domestiche, un po’ di sole sul balcone, la settimana enigmistica spremuta fino all’ultimo rebus; ho iniziato una sciarpa ai ferri; ho dato la gommalacca a un tavolinetto. Ma il mio intestino – nobile organo, secondo solo al cervello, come universalmente ormai riconosciuto – cerca di sottrarsi alla sua normale funzione, mettendomi di fronte al fatto che, se nulla è normale in questi giorni, perché dovrebbe esserlo lui?
E poi sono cinque notti che dormo poco e male. Sarà che, malgrado le acrobazie sulla scaletta fra un pensile da riordinare e una finestra da pulire, non mi stanco a sufficienza durante il giorno da giustificare un sonno ristoratore. O forse che, sotto sotto (nemmeno tanto sotto), sento che sarà lunga e temo per il centro e il sud d’Italia, così poco attrezzato. E penso ai miei parenti, che vivono tutti in uno dei quattro paesi blindati dal Governatore De Luca (noto nella mia città come Vicienz’ ‘a funtana), e che si ricordano che nemmeno ai tempi del colera, nel 1973, è stato così.
E mi ricordo anch’io del 1973: ero in vacanza, sì, proprio in uno dei succitati paesini campani che ora godono di indesiderata fama, e l’epidemia napoletana creava in noi ragazzini una singolare agitazione, un misto di paura, di piacere della paura e di volontà di protagonismo. Per cui, pur non essendo necessario, ci sottoponemmo eroicamente alla vaccinazione nei locali della vecchia scuola media. Mentre i fruttivendoli smerciavano a peso d’oro gli introvabili limoni, dei quali si supponevano doti antisettiche. Manco si trattasse di Amuchina!
Marina M.