racconti dalla quarantena: resoconti di giornate fra cucina e soggiorno percorrendo viaggi fantastici o meno.
Roma, 28 marzo 2020
Durante la prima settimana, l’informazione radiotelevisiva, quando cercava di alleggerire l’atmosfera, appesantita da quelle cifre in crudele crescita, e in attesa del “picco”, non faceva che parlare di famiglie e balconi.
Famiglie che si sono ritrovate insieme in casa con una compresenza che non si dà, così fitta e prolungata, nemmeno durante una piovosa vacanza natalizia. E, un po’ per offrirci una distrazione, un po’ per darci suggerimenti,le trasmissioni di radio e tivvù indugiavano sulle mamme che preparano dolci (con le palestre chiuse e i fornelli aperti sarà un dramma la prova costume!) e i papà che seguono i figli nei compiti (immagine fantasiosa! io ho, piuttosto, presenti mamme, che, mentre infornano il ciambellone e scaricano la lavastoviglie, spiegano storia o matematica ai figli). La realtà, però, è assai più complessa, come ben sappiamo. Ci sono famiglie con entrambi i genitori in “lavoro agile” (?!) e due figli alle prese con le lezioni in video, ma il loro appartamento non è un castello né hanno quattro pc. Ci sono famiglie con genitori separati, uno dei quali riesce in questi giorni a vedere i figli solo su skipe. Ci sono famiglie unipersonali, forse le più spaventate, di certo le più isolate. Ci sono le famiglie di nuovo tipo degli anziani, le cui badanti sono ormai sequestrate in casa anche il giovedì pomeriggio e la domenica. Ci sono famiglie con figli autistici, le cui terapie non possono essere interrotte senza danno. Ci sono famiglie in cui la convivenza forzata rischia d’inasprire situazioni di violenza domestica. C’è la famiglia del farmacista sessantaseienne – ascoltato a “Caterpillar” – che lavora in Liguria in prima linea e con la preoccupazione di un padre novantaduenne col femore rotto, laggiù in Calabria. Ci sono le famiglie di tutti coloro che devono necessariamente uscire per lavorare, per consentire a noialtri di obbedire al monito di rimanere a casa, e sono tante. Eccetera eccetera eccetera.
Vengono scomodati dai giornalisti anche psicologi e terapisti di coppia, che preconizzano, novelle Cassandre, divorzi a raffica, così, tanto per tirarci su l’umore. Mi piace assai di più prevedere per Natale un baby boom. Sarebbe davvero bello, in questo Paese in regresso demografico. Bisogna pensare in maniera ottimistica. Concetto che in altri momenti avremmo anche potuto esprimere con la frase: “Dobbiamo essere positivi!”.
E veniamo ai balconi, di colpo proiettati da tristi depositi di scope e di pile di vasi vuoti, a palcoscenico dei flash mob. Bandiere, lumini, striscioni, disegni di bambini, girandole, palestre improvvisate, sdraio e tavolini. Certo, anche qui, per spirito di contraddizione, mi viene da pensare a chi un balcone proprio non lo ha, nemmeno ino ino. A chi, addirittura, non ha neanche una finestra da cui affacciarsi perché vive in un seminterrato e ha poco più che una feritoia a livello del marciapiede, come i sudcoreani (ecco, appunto!) protagonisti di Parasite.
E, allora, io con i miei due balconi – per rimanere nell’immaginario cinematografico – non mi sento da meno di Jep Gambardella. Magari domattina ci saranno anche i fenicotteri!
Marina M.
E poi c’è / chi al telefò / era sempre stato parco, / ma adesso – in quarantena – ci fa la maratona / e chi alle spalle intona / la solita querelle: / la prossima bolletta / vedra che va alle stelle…