racconti dalla quarantena

Pittore, ti voglio parlare

Redazione

lbaldini

[n.d.a.: entrati nella fase 2 anche a me è sembrata conclusa l’esperienza dei diari della quarantena, che ci hanno fatto compagnia nel momento del “tutti a casa”. Però, lo scritto di Gualtiero dell’altro giorno, saggio e spiritoso come sempre (e il connesso commento di Cate), mi ha indotta a tirar fuori questo semilavorato del 26 aprile, memoria di un tempo che già sembra remoto. O no?].

La chiusura di parrucchieri e barbieri è una delle scomodità dell’emergenza. Scomodità che io sopporto bene, non essendo un’habitué dei saloni di parrucchiere, come sa chi mi conosce e soprattutto chi ne sopporta lo spettacolo quotidiano. Ci vado, ma solo quando sono ai minimi termini perché – non so che farci – mi annoio: quelle due ore sono per me ore perse. Solo il momento del lavaggio, se il massaggio è fatto da mani esperte, vorrei non finisse mai. Per esempio, per un breve periodo il mio parrucchiere ha avuto una sciampista cubana, di-vi-na! Ma sto divagando ….

Fortuna che al momento del decreto “io resto a casa” ero appena andata dal coiffeur, così ho potuto tirare avanti a lungo, ma, giunta quasi alla fine della settima settimana di clausura (24 aprile), non è più possibile stiracchiare oltre la faccenda, pena l’essere scacciata di casa. Così, mi armo di coraggio ed esco ad affrontare il mondo. Sì, perché dal 9 marzo sono uscita di casa solo per gettare l’immondizia e controllare la cassetta della posta, e le file di gente mascherata davanti ai supermercati le avevo viste solo alla tv. Davvero sono un po’ emozionata quando, col mio zainetto, la mascherina e l’autocertificazione, mi avvio verso la via dei negozi.

Noto che è aperta la tintoria, e questo lo sapevo (è considerata attività necessaria), ma anche il fioraio indiano, e questo non lo sapevo (ma la ritengo attività ancor più necessaria, con tutti questi balconi da accudire). Noto pure che il pedone che procede in senso contrario al mio cambia marciapiede, e mi accorgo di fare ben presto lo stesso, con malcelata disinvoltura. Noto, ancora, che il virus ha allontanato la signora rumena che chiedeva l’elemosina davanti al minimarket nonché il marito, che la chiedeva davanti al discount. E questi sono numeri che sfuggono ai conteggi dei tiggì.

Caso vuole che in questa strada esista un negozio di forniture per parrucchieri, caso fortunato – direte voi – dal momento che non è proprio una tipologia merceologica diffusa. Benissimo. Si entra uno per volta. Tocca a me. Dopo una breve trattativa (mi vuole rifilare una tintura che a me pare biondo platino), ci accordiamo per un biondo scuro “intenso” (che a casa mia si chiama castano chiaro). E il pennellino? “Sono finiti e nemmeno arriveranno!”. Manco fosse lievito di birra.

Un altro caso vuole che sempre in questa strada molto fornita ci sia un ferramenta (questo sì di primaria necessità) e ricorro a lui per un pennello che somigli il più possibile al pennello piatto che ci vorrebbe.

Non sono pronta per sottopormi subito al trattamento: troppe emozioni in un giorno. Rimando a domenica 26 aprile.

Terzo caso fortunato: ho un pittore in casa, non pittore edile (con tutto il rispetto per la categoria, che io ammiro molto, eccezion fatta per un certo Claudio che so io) ma proprio pittore di quadri. La cosa mi tranquillizza: saprà mescolare da par suo le due sostanze che vanno combinate secondo una precisa proporzione, e la pennellata sarà precisa e rapida. Lo interpello e si lascia convincere.

Qualche settimana fa il mio e vostro amico Luca, forte dell’esperienza materna (dai tasselli che sto mettendo insieme questa mamma sta venendo fuori come una tipa assai gagliarda), mi suggeriva Casting dell’Oréal (è pubblicità?), che anch’io usavo con buoni risultati una ventina d’anni fa. Ma oggi che ho il personal painter voglio osare il trattamento professionistico.

Tappezzato il bagno di teli gialli di plastica (in realtà, sacchi per l’immondizia tagliati ed aperti), infilata me stessa in un sacco nero, sempre per l’immondizia, con un foro per la testa, mi sono affidata fiduciosa al Maestro, facendo la mia parte: non modella del pittore ma addirittura opera d’arte (perbacco!).

L’artista, consapevole della responsabilità, si è innervosito alle prime difficoltà ma poi ci ha preso la mano. Risultato più che soddisfacente (io non ho pretese, questo si è capito): qualcosa è sfuggito sulle tempie, ma come esordio l’hairstylist si è ben difeso. Effettivamente quello è il mio colore: aveva ragione la venditrice. Le piastrelle non hanno subito ingiurie. Bel momento di action painting! Alta probabilità che io chieda una replica.

Marina M.

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