Roma, 29 gennaio 2021
Tema
Sulle montagne del nostro Paese si possono trovare tanti sentieri intitolati al Silenzio. Silenzio e montagne sono quasi sinonimi. Oggi se si passa a piazza del Pantheon un venerdì mattina si osserva un vuoto di persone e un vuoto di rumori: uno strano silenzio. Poi c’è il silenzio della disperazione oppure quello dell’indifferenza. C’è anche chi sarebbe meglio che rimanesse in silenzio! Visto che di questi tempi è difficile andare in montagna perchè non provare ad entrare nei Silenzi delle nostre città ed ascoltarli?
colonna sonora
The Sound of Silence eseguita dal nostro Pino
Il significato della canzone dell’incomunicabilità
John Cage’s – 4’33”
Secondo Cage, 4’33” non è per nulla un’opera silenziosa, in quanto il vero centro di attenzione dovrebbero essere i rumori casuali che si sentono durante il silenzio dei musicisti, al pari di quelli dati dalla caduta di un oggetto, dal ronzio di un insetto o dal respirare degli spettatori. La durata particolare della composizione, invece, è probabilmente un riferimento allo zero assoluto: infatti, quattro minuti e trentatré secondi corrispondono a 273 secondi, e lo zero assoluto è posizionato a -273,15 °C, temperatura irraggiungibile, come il silenzio assoluto. (da wikipedia)
Il mio preferito è il secondo movimento…
proposte di Pino
Svolgimento
pensieri
Le parole oltre il silenzio
“Nella mia esperienza la spinta a scrivere è sempre legata alla mancanza di qualcosa che si vorrebbe conoscere e possedere, qualcosa che ci sfugge. E siccome conosco bene questo tipo di spinta, mi sembra di poterla riconoscere anche nei grandi scrittori le cui voci sembrano giungerci dalla cima d’una esperienza assoluta. Quello che essi ci trasmettono è il senso dell’approccio all’esperienza, più che il senso dell’esperienza raggiunta; il loro segreto è il saper conservare intatta la forza del desiderio.
In un certo senso, credo che sempre scriviamo di qualcosa che non sappiamo: scriviamo per rendere possibile al mondo non scritto di esprimersi attraverso di noi. Nel momento in cui la mia attenzione si sposta dall’ordine regolare delle righe scritte e segue la mobile complessità che nessuna frase può contenere o esaurire, mi sento vicino a capire che dall’altro lato delle parole c’è qualcosa che cerca d’uscire dal silenzio, di significare attraverso il linguaggio, come battendo colpi su un muro di prigione”.
Italo Calvino, “Mondo scritto e mondo non scritto”, 1983
io invece vi racconto il più gran silenzio della mia vita, in un tardo pomeriggio dell’84, e una periferia del Sahara tunisino. tra Sfax e Tozeur. una distesa di terra battuta. lontano dalla partenza del taxi collettivo (louage mi pare si chiamasse) una station wagon della Peugeot che a un certo punto, nelle mappe ignote di quando Google non si immaginava nemmeno, si ferma con una ruota a terra. fa sera. la ruota di scorta non c’è. scendiamo nell’attesa di soccorsi che giungeranno dal punto di arrivo. speriamo: anche quello dista una sessantina di chilometri. lo stereo sgangherato della macchina non suona più. le nostre canzoni di De André si sono affievolite in gola. giriamo un po’ più in là, lontano dagli altri. per un momento non dice niente nessuno. è quasi notte.
è allora che l’ho udito.
indimenticabile
Laura M.
Chiedo Silenzio di Pablo Neruda
proposta di Giulia
Io dopo il lavoro vado in palestra Sempre. Quasi tutti i giorni. Da una vita. Ora no è ovvio. Torno a casa. Presto anzi prestissimo per le mie abitudini a volte addirittura per le 18.00. Chiudo la porta prendo una roba da leggere e mi accomodo. Penso che potrei mettere musica o accendere la TV ma non lo faccio. Mi siedo e con un libro in mano ascoltando il silenzio di quella mezz’ora in cui anche i vicini non fanno muovere foglia corro appresso ai sogni che la mattina ho lasciato a casa appoggiati sul comodino ad aspettarmi.
Francesca
Il silenzio dei chiostri (che è anche il titolo di un romanzo di Alicia Gimenéz-Bartlet), il silenzio dell’alba, quello della notte, quello dei monti e quello del mare. Delle voci che tacciono, degli sguardi di chi si comprende senza dover usare parole. Quello della paura, della sorpresa o della gioia, delle lacrime che scorrono senza singhiozzi, di un sorriso muto. Il silenzio per riflettere, guardarsi dentro per tornare a parlare e ad aprirsi al mondo.
Caterina
11 marzo 1987 – 4 marzo 1988: il mio anno di servizio militare. E ogni sera la tromba del silenzio, che concludeva tutte le attività della giornata. Ma quando uno scaglione si congedava, la sera prima veniva suonato questo “Silenzio fuori ordinanza”. E io l’ho ascoltato l’ultima volta il 3 marzo 1988…
vai al brano “Il silenzio” di Nini Rosso
Luca
Il silenzio è meraviglioso quando è riflessione, introspezione e se si contrappone al rumore delle bombe in guerra. Lo è meno di fronte alle ingiustizie, ai soprusi, al razzismo. Però è pure bello anche stare insieme a voi caciaroni quando ci incontriamo. Qualche volta sento la risata sonora di Nadia.
Fernando
Scriveva Gandhi: “E’ silenzioso colui che, avendo la possibilità di parlare, non pronuncia parole inutili”.
Gualtiero
Da una vera chiacchierona come me una bellissima poesia di Alda Merini
Ho bisogno di silenzio
proposta da Gabriella
Assordante rumore
una bomba
Silenzio
Lo sfrigolio del ferro rovente
la carne bruciata
le urla
Silenzio
L’urlo del mare infuriato
un gommone che puzza di vomito
il mondo si capovolge
Silenzio
Treni che arrivano
treni che partono
coperte a terra, barbe incolte, pochi denti
Silenzio
Il TG delle 20
I bombardamenti
le torture
gli affogati
gli assiderati
Silenzio
Massimo M
arguzie
Non #parlare a meno che tu non possa migliorare il #silenzio
Marco Taglienti @Pakalino, 7 gen
[25/1, 15:07] Laura B.: “SSsssssssssss…”
[25/1, 15:20] Rossella: Molto carina..!!
[25/1, 15:21] Adriana: Se sei in silenzio…. puoi ascoltare te stesso.
[25/1, 15:22] Laura B.: …passo indispensabile per passare ad ascoltare gli altri
[25/1, 15:24] Adriana : Siiii.
tante parole, il testo lungo
Trovate 8 minuti di tempo che potete liberare dalle vostre incombenze giornaliere e, in silenzio, leggete i due brani che seguono
Abitare il silenzio
Rientrare in se stessi significa anche entrare nel silenzio e nella solitudine. Cosa tutt’altro che facile questa, abituati come siamo a vivere immersi nel rumore e nel continuo contatto con gli altri. E tuttavia il silenzio e la solitudine sono essenziali per mettere ordine in se stessi; hanno, infatti, un meraviglioso potere di semplificazione, di riduzione all’essenziale, di chiarificazione, di concentrazione. Ti sarà forse capitato di sperimentare come il ritirarsi da solo nel silenzio porti a “sentire” il corpo in maniera diversa, più lucida e intensa, e porti anche a una coscienza più acuta del tempo. Quel tempo che normalmente fugge e vola via quando sei immerso nel quotidiano viavai e nelle molteplici attività, appare molto più lungo quando resti nel silenzio e nella solitudine. Oggi, come sai bene, i ritmi della vita sociale sono talmente velocizzati e stressanti che ci ritroviamo a correre per arrivare sempre in ritardo: più siamo impegnati, più abbiamo attività da svolgere e “cose da fare”, e più ci sembra di essere vivi. Ma così rischiamo di dimenticare quell’arte della cura di noi stessi e della nostra interiorità che è essenziale per sapere chi siamo e perché facciamo quel che facciamo. Un po’ di lentezza, di tempo speso stando seduto in camera senza far nulla, semplicemente restando presente a te stesso, lasciando emergere le emozioni che si sedimentano in te, ti aiuta a ritrovare unità, a dare il nome ai sentimenti che provi, a esercitare la tua memoria nel ricordo. Questo ti aiuta soprattutto a entrare in una pacificazione e unificazione interiori da cui uscirai rinnovato e disponibile per le relazioni quotidiane. Solitudine e silenzio sono il tempo delle radici, della profondità, in cui ricevi la forza per essere te stesso, per pensare, per coniare una parola tua che magari può essere in contrasto con quelle che tutti ripetono. Silenzio e solitudine sono dunque i mezzi privilegiati della vita interiore, che ti consentono di prendere confidenza con te stesso e di osare te stesso, anche a costo di arrivare a “cantare fuori dal coro”, a rompere con le logiche omologanti che tutto appiattiscono. Ti consentono inoltre di sfuggire alla superficialità e di dare profondità alle parole e senso alle relazioni. La solitudine, infatti, purifica lo sguardo che porti sugli altri. Se pensi agli altri quando sei da solo, scopri in essi un volto inedito, che ti sfugge quando stai fisicamente accanto a loro. Non è affatto vero che comunichi bene chi parla molto o sempre e che sia una persona capace di relazioni quella che vive continuamente in mezzo agli altri, senza mai concedersi un momento di tregua, di faccia a faccia con se stessa. Questo sarebbe uno scambiare la quantità con la qualità. È vero, invece, il contrario: la capacità di comunicazione e di relazione è proporzionale alla capacità di silenzio e solitudine.
(https://www.monasterodibose.it/ospitalita/giovani/testi-per-meditare/conoscenza-di-se/3228-abitare-il-silenzio)
E. Bianchi, Lettere ad un amico sulla vita spirituale, Qiqajon, Bose, 2010, pp. 57-58
Un silenzio improducibile
Nel campo c’era una famiglia muta. Padre, madre e due bambini. Erano inerti. Non chiedevano nulla, neanche da mangiare, e non c’era modo di capire cosa fosse accaduto. Si era tentato di tutto, senza successo. Erano intervenuti poliziotti, psicologi, un imam. Ma loro niente. Avevano valicato le montagne con la prima neve, ed erano arrivati denutriti dopo chissà quanti giorni di cammino. Ma era da un mese che si erano chiusi nel silenzio. Fluttuavano come fantasmi, non mostravano emozioni, non pregavano, non piangevano, non ridevano. I figli – tre e dieci anni – non giocavano. Erano un inestricabile, impressionante groppo di negatività.
Fu così che la storia emerse dalla bocca dell’uomo, in un racconto privo di apparente emozione. La voce sbloccata era il brivido di una foresta scossa dal vento. La moglie aveva scolpito in viso lo strazio di Maria sotto la croce. Gli avevano incendiato la casa, ed erano fuggiti tutti verso il Pakistan, attraverso la grande montagna. «Tutti vuol dire quanti?», chiedemmo. Lui disse «Sei. Noi e i nostri quattro figli». Adil e Isaam erano quelli mancanti. Maschi anche loro. Qui la storia si addentra nel territorio dell’indicibile. I sei salgono a fatica. Il piccolo di tre anni dorme sulle spalle del padre. Il più grande ha ancora abbastanza forza. Ma i figli di mezzo soffrono per la marcia interminabile e le notti all’addiaccio. Adil, cinque anni, e Isaam di sette. Arriva la neve. Mamma e papà capiscono che quei due non ce la faranno mai e che a causa loro l’intera pattuglia rischia di fermarsi e morire. È tardi per tornare indietro e la montagna è battuta da cani pastori enormi e affamati. I genitori non si parlano, ma si capiscono al volo. È la legge della sopravvivenza. L’inverno da quelle parti è spietato e bisogna lasciare per strada chi non ce la fa. Ma non hanno cuore di abbandonarli. Allora papà li accompagna sull’orlo di un dirupo, mostra le montagne, dice che oltre c’è la salvezza, dà loro una caramella. Poi li precipita nel burrone. Morti all’istante, sfracellati. E quando, giorni dopo, le guardie di frontiera li trovano, i superstiti sono già creature dell’altro mondo, senza più occhi, senza più lacrime. È accaduto vent’anni fa, al confine fra Afghanistan e Pakistan, sui monti dell’Hindukush. La famiglia proveniva dal Nuristan, il campo profughi era vicino a Islamabad e la volontaria che infranse quel silenzio tombale era la figlia di un generale e si chiamava Gulmina Bilal. Ero lì come inviato dopo le Torri Gemelle e ho provato a scrivere la storia, ma non ci sono riuscito. Non trovavo le parole per descrivere la crocefissione di quelle anime. Il problema non era tanto la cronaca dell’accaduto, ma il silenzio. Era improducibile. Un silenzio irreale, che catturava anche me e dava la dimensione di un dolore bestiale, incomprensibile nel nostro mondo. (…)
Paolo Rumiz, Robinson, 23 gennaio 2021
Amici cari, nel silenzio della mia stanza siete tutti attorno a me, in silenzio, scaldandomi il cuore.