News, un bastimento carico di

E’ arrivato un bastimento carico carico di… C


Ecco una nuova puntata di “E’ arrivato un bastimento carico carico di…”. La rubrica di Alessandra M. e Stefano P., i nostri “inviati speciali speciali”, negli States, si arricchisce di altre due voci. Il mosaico statunitense che ci stanno regalando si arricchisce di altre preziose tessere.


C come Charleston


Nella Carolina del Sud lungo la costa atlantica, una raffinata ed elegante cittadina fondata dagli inglesi nel 1670, si affaccia sulla sponda destra del fiume Ashley. Il suo nome è Charleston da cui l’omonimo ballo in voga agli inizi degli anni ’20 del secolo scorso.
In perfetto stile coloniale, la città è oggi rinomata per la sua bellezza, l’architettura e i giardini. Le splendide case color pastello (Rainbow Row street) e i fantastici portici che si affacciano su viali di palme e viuzze alcune delle quali ancora acciottolate, caratterizzano il centro storico della città. Gli ingressi delle case, ancora oggi, vengono illuminati con lampioncini alimentati a gas che rendono il tutto molto suggestivo, specie all’imbrunire. Su alcune case è affissa una targa che ne racconta la storia e le persone che l’hanno abitata.
Charleston è una meta molto apprezzata dagli americani ma è conosciuta e apprezzata anche al di là dell’oceano, basti pensare che l’edizione americana dello Spoleto Festival dei due mondi si svolge proprio qui e raduna ogni anno, nel mese di giugno, artisti europei e americani nei settori della musica, del teatro e della danza.

Ma non è tutto oro quel che luccica!
Se andate a Charleston, oltre a gustarvi le gradevolissime atmosfere coloniali vi consigliamo di visitare l’Old Slave Mart Museum. Un museo che descrive la situazione e l’evoluzione del mercato degli schiavi nel tempo, collocato all’interno dell’edificio dove si effettuava la compravendita di esseri umani.
Nel lontano XVII secolo circa il 40% degli schiavi africani è passato dal porto di Charleston, il più grande del Nord America. Il viaggio avveniva in condizioni davvero disumane. Le famiglie erano separate ancor prima di salire a bordo delle navi per raggiungere la destinazione finale; viaggiavano su navi distinte, una per soli uomini, una per sole donne e l’altra per i bambini. Stipati come solo le merci possono essere stipate, incatenati mani e piedi, i più “fortunati” raggiungevano Charleston. Chi moriva di stenti, per malattia o altro veniva gettato in mare. Chi sopravviveva, veniva preso in cura dal Trader, il commerciante di schiavi e imprigionato in un apposito edificio, oggi visitabile l’Old Slave Mart Museum. Prima di essere venduto al miglior offerente, il Trader si adoperava per ridare sembianze umane allo schiavo: vitto, vestiti puliti, olio sulla pelle per ridare lucentezza e colore ad una pelle disidratata e stanca dopo un viaggio che durava dalle 3 alle 4 settimane. E poi iniziava l’asta. Incredibile ma vero e le immagini e le descrizioni dell’Old Slave Mart Museum fanno venire i brividi per il loro realismo.

Nelle piantagioni di riso, di cotone o di caffè, poi, avveniva il resto. Nessun affrancamento era possibile, nessun salario era contemplato. Anche qui, i più “fortunati” resistevano al freddo, al caldo, alla malaria e alle ferite procurate dagli alligatori nelle paludi dove seminavano e raccoglievano il riso. Bisogna aspettare la “Dichiarazione di emancipazione” nel 1863 pronunciata da Abramo Lincoln e la firma del tredicesimo emendamento due anni dopo perché venisse avviato il processo di liberazione degli schiavi1.

Noi abbiamo visitato la “Magnolia Plantation Garden” teatro di tanto orrore ed ora interessante per la storia che l’ha vista protagonista e per i suoi bei giardini, alberi di magnolie, gardenie, querce e splendidi percorsi lungo i canali e il fiume Ashley dove se sei fortunato puoi ammirare anatre, garze, aironi, vari tipi di uccelli e gli alligatori che noi però non abbiamo visto, perché in inverno per resistere al freddo vanno in uno stato di ibernazione che consente di rallentare tutte le funzioni vitali e di respirare con il solo naso fuori dall’acqua.

Magnolia Plantation Garden, foto di A. Miti

1) Per chi fosse interessato suggeriamo di vedere “Underground railroad” una miniserie televisiva statunitense del 2021, su Amazon Prime  tratta dall’omonimo romanzo  scritto da Colson Whitehead. La ferrovia sotterranea non era nient’altro che una rete informale di itinerari tenuti segreti e di luoghi sicuri che venivano utilizzati dagli schiavi per fuggire negli Stati del Nord e in Canada con l’aiuto degli abolizionisti americani.



C come Cibo


Il latte nei negozi degli States, foto di A. Miti

Una grande e incontestabile verità. A Washington e dintorni si mangia male, a meno che tu non sia disposto a lasciare uno stipendio al ristorante di lusso gustando specialità internazionali ed uscirne effettivamente soddisfatto. Se si escludono questi pochi posti da selezionare con cura, la cucina americana non esiste. Proprio no. Esiste quello che gli americani chiamano MUSH ovvero “poltiglia”, “pappa”. Cosa fanno pensando di essere scaltri utilizzando i loro leftovers (avanzi che trovano nel frigo)? Prendono un alimento, ne aggiungono un altro a casaccio, poi un altro ancora e poi ancora. La ciliegina sulla torta è il gran finale con Moustard e Ketchup ad ornamento del loro capolavoro culinario! Vi giuriamo che è vero, sperimentato, assaporato ops ingurgitato e a fatica digerito!
Al ristorante mai dimenticare di dire al cameriere “Dressing on the side, please” altrimenti ti ritrovi il piatto letteralmente coperto di condimenti, per lo più molto cremosi, improponibili in qualsiasi ristorante italiano. Il dressing americano, a differenza dei condimenti come la vinaigrette ottenuti emulsionando ingredienti liquidi come olio, aceto e succo di limone, ha la particolarità di essere cremoso, poiché a base di maionese o di altri latticini come la panna acida ma anche di formaggi sfusi.
Nei dintorni di Washington, nello Stato della Virginia, si trova Alexandria, una cittadina che si estende sul fiume Potomac ed è molto caratteristica con le sue casette basse in mattoncini rossi e molti piccoli locali dove mangiare. Alcuni colleghi hanno invitato Stefano a cena in un Oyster bar che, come dice il nome è specializzato in Ostriche, piatto che qui è molto comune e, stranamente, relativamente poco costoso. L’antipasto di ostriche effettivamente era all’altezza perché comprendeva almeno 5 tipi differenti di crostacei provenienti da varie parti dell’Atlantico. Il problema è sorto con il piatto principale. Stefano incuriosito da un risotto con i gamberi chiede alla cameriera quali sono gli ingredienti e lei tutta orgogliosa dice che oltre al riso e ai gamberi c’è anche il formaggio e rimane interdetta davanti alla faccia stupita dell’avventore che prontamente cambia la scelta della pietanza.
Anche nella cucina di casa la situazione non migliora. In generale gli alimenti “sanno di poco” per chi è viene dall’Italia. Se vuoi sentire l’aroma dell’aglio devi proprio esagerare con le dosi, la cipolla non fa piangere (forse è geneticamente modificata apposta?) anche il cavolo con il suo caratteristico e a volte imbarazzante odore qui è molto più discreto. Se compri la pasta anche con marchio italiano o la passata di pomodoro non è quella che ti aspetteresti. Gli americani sono famosi per gli ingredienti elaborati: non trovi il latte intero o semplicemente scremato. Trovi il latte intero con aggiunta di Vitamina A e D, oppure scremato con l’aggiunta di Vitamina D e B e così via. Comprare l’alimento puro e semplice pare sia vietato e così anche la pasta De Cecco che trovi al supermercato ha la sua aggiunta di vitamine: niacina, riboflavina, tiamina, acido folico e chi più ne ha più ne metta!

La pasta De Cecco negli Stati Uniti, foto di A. Miti

Qui oltre al cibo, anche l’acqua diretta potabile, ha un pessimo sapore. È acqua del Potomac filtrata e “ripulita” ma sempre del fiume Potomac, il cui sapore è decisamente poco gradevole. Quello che a Roma non faremmo mai è comprare l’acqua in bottiglie di plastica al supermercato per una questione etica ed ecologica e perché l’acqua del rubinetto a noi piace assai. Ma qui non è possibile. E allora ci costringiamo a comprare acqua in bottiglie di plastica contravvenendo a qualsiasi regola di risparmio etico e sostenibile e questo ci dispiace tantissimo ma non abbiamo ancora trovato una soluzione alternativa valida.
Per concludere, come ogni italiano che si “rispetti”, soffriamo l’assenza di cibo nostrano e il nostro desiderio più grande è mettere piede sul suolo natio per iniziare alla grande con un bel maritozzo con panna e un cappuccino. Lucilla e Luciano ne sono testimoni 😊


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