La pandemia ci ha precipitato nell’incertezza, nello smarrimento. Ci siamo scoperti fragili e insicuri. Abbiamo ancora più bisogno di affermare l’importanza dell’I care di Don Milani. Da questi pensieri nasce l’idea di quattro incontri brevi, quattro domande, con i rappresentati di alcune delle associazioni amiche di Arcoiris. Francesco, Maria Letizia, Massimo e Milena, dedicano tanto della loro vita alla cura degli altri, dell’ambiente in cui vivono, delle relazioni sociali, sono persone speciali, ci piaceva farli conoscere meglio ai nostri lettori.
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Incontro con Milena Soldero de l’Organizzazione di Volontariato “Il Cuore Grande di Flavio”
I genitori di Flavio, nel 2015, si fanno promotori dell’associazione “Il cuore grande di Flavio”. L’associazione, accreditata dall’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, si propone di aiutare i bambini malati di cancro e le loro famiglie, di ospitare in case di accoglienza le famiglie fuori sede, di promuovere sottoscrizioni per finanziare la ricerca scientifica oncologica pediatrica.
Flavio colpito da un tumore a sei anni in un tema scriveva: “Io ho paura di avere una malattia pericolosa, perché dopo tre anni di ospedale ho capito che le malattie sono pericolose. Se ne avessi una proverei a dimenticare di avercela e mi godrei ogni giorno ed ogni minuto, sperando che ci sia una cura. Avrei paura ovviamente che succeda a qualcun altro della mia famiglia e gli sarei vicino; non solo alla famiglia ma anche ad un’altra persona, proverei a sostenerla per farla sentire meglio”.
Milena, la mamma di Flavio e presidente dell’associazione, dedica a quest’ultima tanto, tanto impegno. Anche lei come Michela, la Nonna di Flavio e vicepresidente dell’associazione, non si è lasciata andare al dolore, tutt’altro, si è rimboccata le maniche e con l’aiuto di tanti volontari ha costruito un’esperienza utile a tanti altri bambini.
1. Partiamo dalla tua Associazione. “Il cuore grande di Flavio” gestisce delle case di accoglienza per ospitare le famiglie fuori sede, organizza raccolte fondi per finanziare la ricerca scientifica, cerca di sensibilizzare sul tema dei tumori infantili. Ci puoi descrivere le attività a cui vi dedicate?
La malattia oncologica è una malattia sociale nel senso che non riguarda solo chi ne è colpito ma anche tutti coloro che sono attorno al malato perché cambiano le abitudini di tutta la famiglia, le regole, gli orari, insomma la routine quotidiana. Spesse volte poi si rende necessario dover cambiare domicilio e questo rende ancora più difficoltoso affrontare il quotidiano.
Nelle nostre case di accoglienza stiamo attenti all’aspetto psicologico delle nostre famiglie, vogliamo che si sentano a casa anche a diversi chilometri di distanza (alcune famiglie provengono dalla Romania, dall’Albania, dall’Iran). Con i nostri volontari bambini e genitori possono intrattenersi a parlare, giocare, cucinare, prendere un caffè (momento conviviale e di vita “normale”) o una cioccolata calda ma anche trovare un amica/o a cui confidare le proprie paure e con cui condividere gli step della malattia e i successi riscontrati.
Crediamo inoltre moltissimo nella ricerca scientifica e ci impegniamo a raccogliere fondi che destiniamo annualmente alla ricerca sui sarcomi in età pediatrica attraverso numerosi eventi e le quote del 5×1000 che i nostri donatori ci destinano.
La trasparenza massima di ogni azione, la continua attività di sensibilizzazione ed il passaparola sono le tre regole fondamentali dell’Associazione IL CUORE GRANDE DI FLAVIO.
2. Gli ultimi anni sono stati davvero difficili. Il covid ha investito come un ciclone i sistemi sanitari del pianeta. Cosa ha significato tutto questo per la tua Onlus?
Il COVID è sopraggiunto come un ciclone nelle vite dei nostri bambini, costringendo molti di loro a lunghissimi ricoveri oltre quelli previsti dalle cure oncologiche.
I pazienti oncologici sono immunodepressi pertanto molto fragili e questo ci ha costretti a irrigidire le regole nelle case di accoglienza: niente più presenza di volontari, niente visite di amici o parenti (per quanto normalmente siano limitate e su autorizzazione), massimo isolamento. Telefonate e videochiamate da parte di alcuni volontari ci hanno permesso di rimanere in contatto per qualunque necessità delle famiglie.
Oggi, con fatica ed estrema attenzione, abbiamo potuto riprendere gradualmente la frequentazione delle case da parte dei volontari.
Anche gli eventi hanno risentito della pandemia, per più di due anni sono saltati appuntamenti abituali per i nostri sostenitori (eventi sportivi, musicali, ecc.) ma anche in questo ambito abbiamo ricominciato ad attivarci.
Una conseguenza altrettanto importante del “periodo COVID” riguarda inoltre i volontari che, un po’ per attenzione dei confronti dei pazienti, un po’ per cedimento alla pigrizia, un po’ per subentrate necessità personali e/o familiari, faticano a riprendere l’impegno preso con l’Associazione.
3. Arcoiris ha inserito al centro di questi dialoghi estivi il tema de “la Cura”.
Lo scrittore Marco Balzano così definisce la parola Cura “La radice indoeuropea ku, da cui nasce il vocabolo, non indica esclusivamente l’atto del custodire e del proteggere, ma anche l’osservazione(…) per prendersi cura di qualcuno bisogna prima fermarsi a osservare e ad ascoltare la sua storia”. Quanto è importante per voi entrare in rapporto con i piccoli malati e le loro famiglie?
Entrare in empatia con i bambini e le famiglie è per noi fondamentale, l’efficacia di una cura dipende anche dall’aspetto psicologico di chi l’affronta e di chi lo attornia. Un ambiente sereno dove possono trovarsi attenzione e ascolto, complicità e condivisione, sempre nel rispetto della volontà e della privacy delle famiglie, è quello che vogliamo per loro. Non un semplice dormitorio dunque ma una “casa” dove ci si possa sentire a proprio agio e che si possa ricordare piacevolmente una volta terminate le cure e tornati alla propria vita.
L’importanza di tutto questo me l’ha insegnato Flavio.
4. Infine i volontari della tua Onlus. Ci racconti un po’ di loro?
I volontari sono l’elemento portante di un’associazione. I primi volontari siamo stati noi della famiglia, i genitori, i nonni, gli zii, con l’organizzazione dei primi eventi alcuni dei partecipanti hanno compreso il dolore della nostra perdita ma soprattutto la forte motivazione che ci ha spinti a creare l’Associazione e si sono proposti di entrare a far parte di questa nuova famiglia.
Altre candidature sono arrivate nel 2017 quando abbiamo inaugurato la prima casa di accoglienza nel piazzale della Stazione Tuscolana a Roma.
Navigando su internet mi sono resa conto dell’esistenza di un comitato di quartiere e senza esitazione ho scritto per invitare tutti gli abitanti di zona a partecipare perché ritengo che il quartiere debba conoscere questa realtà. Infatti in moltissimi hanno risposto all’invito e tra loro ci sono stati alcuni reclutamenti.
Atri volontari si sono aggiunti nel corso degli anni, man mano che hanno conosciuto l’Associazione e qualcuno ci ha lasciato, c’è chi può dedicare più tempo e chi meno, chi è più presente e chi meno, chi è più autonomo e chi meno ma a me piace pensare al gruppo dei volontari come una famiglia in cui ognuno ha un ruolo ma insieme andiamo avanti.
Una bella iniziativa quella della pagina ‘la cura’. Abbiamo bisogno di mettere in evidenza le iniziative positive, per non farci schiacciare da questa atmosfera carica di aggressività e di sfiducia.
Attività lodevoli e non scontate, come anche quella di Baobab. Iniziative fatte da gente comune, da associazioni che spesso lavorano nell’ombra ma che significano tanto per chi ha bisogno di solidarietà.