La pandemia ci ha precipitato nell’incertezza, nello smarrimento. Ci siamo scoperti fragili e insicuri. Abbiamo ancora più bisogno di affermare l’importanza dell’I care di Don Milani. Da questi pensieri nasce l’idea di quattro incontri brevi, quattro domande, con i rappresentati di alcune delle associazioni amiche di Arcoiris. Francesco, Maria Letizia, Massimo e Milena, dedicano tanto della loro vita alla cura degli altri, dell’ambiente in cui vivono, delle relazioni sociali, sono persone speciali, ci piaceva farli conoscere meglio ai nostri lettori.
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Incontro con Massimo Gargiulo de l’associazione “La Primula”
A Centocelle nel 1988 nasce “La Primula”. I promotori frequentano il centro sociale nella parrocchia di Sant’Ireneo e si ripromettono di dare una mano alle famiglie con portatori di handicap, lavorando altresì all’inserimento sociale dei disabili stessi.
I volontari si impegnano a creare momenti di convivialità, occasioni di incontro, di svago, di socializzazione e di crescita culturale.
Massimo, docente a contratto presso la Pontificia Università Gregoriana, esperto di studi giudaici, insegna latino e greco nei licei, e si è occupato di corsi di italiano per migranti.
Massimo è il presidente de La Primula, associazione storica di Centocelle, amica da sempre di Arcoiris.
1. Dopo un periodo di rallentamento, “La Primula” ha potuto riprendere appieno le sue attività ed ha riproposto il tradizionale spettacolo teatrale di fine anno. Ci racconti com’è andata?
Il teatro rivela sempre, e in maniera sempre sorprendente, potenzialità difficilmente prevedibili. Noi lo sappiamo bene, perché il nostro laboratorio integrato ha ormai compiuto da un po’ i trent’anni, eppure si svelano in ogni caso aspetti inattesi. Da settembre avevamo potuto riprendere regolarmente gli incontri e dunque le prove, seppur con delle limitazioni: per i primi mesi, oltre alla mascherina, lavoravamo per lo più da seduti mantenendo le distanze. Abbiamo poi avuto numerose assenze legate al covid, che hanno costituito un elemento ulteriore di difficoltà. Su tutto però prevaleva, ovviamente, la soddisfazione di stare insieme e il divertimento del gioco del teatro, guidato dal nostro regista Giuseppe Vitolo. L’insieme di questi fattori ha fatto sì che arrivassimo alla scadenza del 30 Maggio, quando siamo andati in scena al teatro Roma, non pronti su ogni singolo aspetto. A peggiorare la situazione ha contribuito anche la sfortuna, perché Giuseppe, il quale, oltre che regista, era anche attore, ha contratto il covid a una settimana dallo spettacolo, a cui non ha potuto quindi partecipare. A quel punto, anche grazie alla persona che lo ha sostituito, abbiamo fatto quadrato e ci siamo detti che avremmo cercato di trarre in ogni caso il meglio dalla situazione. Il giorno dello spettacolo ci vediamo sempre diverse ore prima per provare. Ovviamente la prova generale non è stata granché e questo è un classico. Ma dietro le quinte si respirava un’aria bella, in cui tutti hanno dato il loro contributo: volontari vecchi e nuovi, Stefania che per tanti anni aveva condotto il laboratorio, ragazze di alcuni licei. Ne è nato il solito, eppure sempre nuovo, clima di intima collaborazione, di aiuto reciproco, di cura, appunto, dell’altro. L’esito è stato che dall’apertura del sipario fino ai saluti ci siamo dati benessere, abbiamo collaborato e fatto emergere risorse inaspettate, cose che si possono fare solo quando si è veramente insieme. Il teatro ha fatto di nuovo il miracolo e Pinocchio è tornato a ridere e far sorridere.
2. Molto si discute se stiamo uscendo migliori o peggiori dalla pandemia. Per esempio, Marino Sinibaldi, l’ex direttore di Radiotre, ha affermato: “Abbiamo visto persone disciplinate mettersi in fila per vaccinarsi, investimenti statali, medici che hanno lavorato insieme. Mi sembra abbia vinto un’idea cooperativa e non competitiva della società”.
Il lockdown e tutto quello che abbiamo vissuto nei mesi scorsi che impatto ha avuto sui ragazzi de “La Primula”?
La Primula nacque nel 1988 con lo scopo statutario di integrare: famiglie all’interno delle quali vi erano persone con disabilità, le persone stesse, e i cittadini. La pandemia e il lockdown correvano il rischio, e sono in realtà stati, l’esatto contrario, vale a dire la dis-integrazione dei rapporti veri, quelli in presenza. Noi, con quelli che ci ostiniamo a chiamare “i ragazzi”, non potevamo che essere tra i più colpiti. Eppure anche in questo caso è successo qualcosa di sorprendente, anche perché diverse tra le nostre famiglie sono costituite da persone che, insieme a quello della disabilità, hanno spesso altri disagi, o semplicemente i problemi connessi con l’avanzamento dell’età. Anche forti della presenza tra i volontari di diversi insegnanti, che proprio in quei giorni iniziavano a sperimentarsi nella DaD, abbiamo iniziato a proporre un paio di incontri settimanali su Zoom, dedicati uno al teatro – con giochi e letture di parti del copione – un altro al semplice stare insieme. Quest’ultimo ha preso rapidamente la forma del canto: trascorrevamo l’ora a cantare a squarcia gola e rigorosamente fuori tempo i classici del pop italiano, seguendo le proposte di volontari e utenti. A settimane di distanza, quando tutto questo era stato superato, alcune delle madri mi hanno rivelato che quei momenti, che nella mia visione erano un palliativo estremamente riduttivo, erano però stati importanti e attesi dai ragazzi per tutta la settimana. Rimane il dato che tutti non vedevamo l’ora di incontrarci di nuovo e che noi funzioniamo se possiamo veramente integrarci, ma anche in qual caso insieme, appunto cooperando, avevamo trovato un modo di farci compagnia.
Io sono meno ottimista rispetto all’ex direttore di Radiotre sulla società prodotta dalla pandemia, come in generale su quanto abbiano imparato la lezione le politiche a livello nazionale e internazionale. Ciò che è sicuro è che le realtà del terzo settore come la nostra pongono un modello del tutto alternativo a quello della competizione e del mercato, un modello che non spera di arricchirsi, che non vende consumo, ma si basa piuttosto, ci torno, sulla cura reciproca, sul tempo creativo trascorso insieme, sul rispetto dei ritmi di tutte e tutti.
3. E i volontari? Coinvolgere i giovani nel volontariato è essenziale per costruire una società migliore. Cosa ne pensi? E cosa bisognerebbe fare per incrementare la partecipazione attiva?
È uno dei problemi più grandi che abbiamo affrontato e affrontiamo. Lo dico da presidente della Primula e da insegnante. I ragazzi del mondo attuale sono stati privati di una serie di strutture che nei decenni trascorsi hanno alimentato la socialità di intere generazioni: gruppi parrocchiali, sezioni di partito, centri culturali e sportivi popolari, luoghi di ritrovo. Buona parte di queste è evaporata nella società liquida che viviamo, altre, come quelle sportive e ricreative, sono spesso state formalizzate in società che abbinano al servizio che offrono la ricerca del profitto. Capita quindi spesso che i ragazzi vivano ritmi fortemente cadenzati, con tempi liberi sempre più ridotti e assaliti da attività a pagamento, compresi quelli del gioco e del video-gioco. Ne viene fuori allora che spesso l’unica istituzione che può proporre loro un tempo diverso, quello del volontariato, a meno che ciò non provenga dalla storia familiare, sia la scuola. Ma anche questa, ormai da anni, è fatta oggetto di attenzioni che non sono esenti dalle lusinghe di un mondo concepito sempre più come un’azienda. Inoltre, a partire dalla cosiddetta Buona scuola (2015), anche i licei, e gli istituti tecnici in forma ampliata, sono stati inseriti in quella che si chiamava inizialmente alternanza scuola-lavoro, e ora ha l’acronimo di PCTO. Quelli più virtuosi tra gli insegnanti hanno proposto agli studenti di svolgere quelle ore nel terzo settore e ciò ha messo molti di loro a contatto con un mondo come quello del volontariato che difficilmente avrebbero conosciuto. C’è un piccolo problema: queste attività sono dovute, mentre il volontariato vero non può che essere una scelta libera, che nasce dalla volontà di sottrarre una quota del proprio tempo dalle attività svolte con un fine preciso (salario, studio, divertimento), per dedicarlo ad attività che hanno in sé il proprio fine. Per paradosso, fare l’alternanza nel terzo settore rischia di far perdere del tutto il senso della scelta di volontariato. Non per nulla capita spesso che diverse realtà si reggano solo sulla disponibilità di pensionati.
Che fare allora? Per fortuna non siamo del tutto soli. Lo scoutismo funziona (noi abbiamo ogni anno volontari che vengono da quel mondo), alcuni collettivi riescono a impegnarsi e, soprattutto, funzionano i ragazzi. Quando viene fatto loro conoscere quel mondo, anche attraverso i canali sbagliati dell’alternanza, capita, come è successo da noi quest’anno con alcune ragazze del Benedetto da Norcia, che poi scelgano di proseguire autonomamente. Più di una volta anche alcuni alunni, sapendo ciò che facevo o se erano venuti in contatto tramite la scuola con altre associazioni, mi hanno chiesto come e da dove cominciare. L’impegno di tutti noi dovrebbe andare proprio in questa direzione, ma su ciò le istituzioni devono muoversi. Da anni chiedo agli assessori del Municipio, di varie giunte, di organizzare momenti pubblici, open day, anche nelle scuole, in cui presentare ai giovani le realtà che operano sul loro territorio. Sono sicuro che più di uno si farebbe venire la curiosità di andare a provare. Poi non è detto che prosegua, anche perché il volontariato ben fatto richiede una grande responsabilità, ma occorre provare. Si può optare per una immotivata via di giudizio e condanna sulle nuove generazioni. Eppure, alla prova dei fatti, se si offrono percorsi formativi seri, se si fanno conoscere, i ragazzi si rivelano per lo più come la parte migliore del sistema.
4. Cosa bolle in pentola. Quali sono i programmi de “La Primula” per la
ripresa autunnale?
Riprenderemo i nostri laboratori, che nel tempo sono cresciuti, coprendo quasi per intero l’arco settimanale. La linea che ci guida sarà sempre quella della creatività, all’interno della quale sperimentiamo percorsi di integrazione non convenzionale. Per fortuna le arti non si preoccupano di classificare il normale e la presunta deviazione.
Vogliamo crescere anche nei numeri e siamo apertissimi ad accogliere nuove famiglie e nuovi volontari.
Proseguiremo il dialogo con altre associazioni, con le istituzioni e il territorio, al quale restituiamo non solo i servizi alla persona, ma anche la manutenzione meticolosa della sede di Via Covelli, a cominciare da un giardino bellissimo con annesso orto che vengono mantenuti grazie alle nostre risorse e ai nostri volontari.
Insomma, continueremo a cercare di prenderci cura degli altri, degli spazi, dei tempi e, quindi, di noi stessi.
Pienamente d’accordo con Massimo sui danni della scuola-azienda e su quelli provocati dalla cosiddetta Buona scuola. È vero che, se l’alternanza scuola lavoro (oggi PCTO, quanti maledetti e sempre cangianti acronimi anche qui!) offre la possibilità di far conoscere il mondo del volontariato ai giovani, la cosa è positiva.