Viva la curiosità
di Gualtiero
n. 1 – 27 settembre 2023
I proverbi mi hanno sempre incuriosito. Fin da ragazzo a Castel Madama, il mio paese, ascoltavo volentieri i discorsi degli anziani, spesso intercalati da proverbi e modi di dire attinenti alla vita quotidiana, generalmente campagnola.
Passano gli anni e al momento di scegliere quali studi universitari intraprendere, mi iscrivo a lettere e il latino diventa il mio pane quotidiano, un pane spesso condito con allocuzioni proverbiali, detti e sentenze di personaggi importanti, come Cicerone; ma era stato Fedro fin dalle scuole medie a colpirmi con le sue famose favole, ricche di messaggi proverbiali, perché attenevano alla mia conoscenza della vita campagnola, abitata da comunissimi animali, come la volpe furbastra, l’agnello e il lupo rapace , il bue e la rana vanitosa, la cicogna, il cane; e il terribile scorpione!
Forse anche a voi sarà capitato di fare la conoscenza con qualcuna di queste favole. La volpe, è lei, che prova e riprova con ripetuti saltelli a strappare da quel grappolo dorato qualche grosso chicco d’uva; ma proprio non le riesce e, allora, piuttosto incavolata, esclama stizzita: “Nondum matura est, nolo acerbam sùmere!”. Eh, furbacchiona di una volpe, non ci arrivi all’uva e allora ti consoli dicendoti che non è ancora matura; non te la mangerai certo acerba!
Ma usciamo dalle facili prediche morali di Fedro, per imbatterci in un detto memorabile, attribuito a Cicerone, che, se ve lo ripetete a voce alta, vi comunica tutta la sua pensosa serietà: “Historia est magistra vitae”, la storia è maestra di vita! E chi può dire di non averlo sentito questo motto dalla voce di qualche professore o in qualche trasmissione teleradiofonica di alta cultura?
La storia è maestra di vita, ma qualcuno, certamente un qualcuno importante, ha pur detto che la storia sì, sarà pure maestra di vita, ma si ripete sempre due volte: una prima volta come tragedia e una seconda come farsa! Qui l’attribuzione è un po’ più complessa, perché la frase sarebbe di Marx, ma a completamento di una frase di Hegel. Nientedimeno!
A proposito della Storia maestra di vita, mi disse una volta la commare Ghituccia (Agata): “Quartié, caunu ‘mportante ha dittu che la storia ce ‘mpara la vita; ma tu penza au provèrbiu nostru, che non serà latinorum, ma j’au fattu j’ommini co’ la barba bianca; dice u proverbiu: “non fa comme j’asinu de’ Carateji, che ce casca e ce recasca”. La comare ha ragione: questo proverbio castellano non avrebbe avuto fortuna, se la gente avesse tenuto conto degli insegnamenti che ci dà la storia… E continuai: “Lo sai, no? commà, che Benito – dopo vent’anni de dittatura – finì ucciso e impiccato a Piazzale Loreto (a Milano), tradito dai suoi collaboratori, ma abbandonato soprattutto dai tanti italiani, che ne avevano esaltato il prestigio? Puru Benito jea sempre ‘n giru co’ i sondaggi (a quei témpi se chiameanu plebbisciti), che j diceanu “SI” al 99 per cento; ma quando la sua fortuna volse al termine, anche per l’azione dei Partigiani che incalzarono il Fascismo da tutte le parti, amici e parénti der Fascio che tte ficiru? Cambiarono bandiera”.
La Storia, quella con la S maiuscola, ci insegna che una Comunità non cresce, se contemporaneamente non crescono tutte le sue parti, che sono tutte necessarie alla vita della stessa. Prendete quella proverbiale pagina di storia romana che parla della plebe, dei poveri di allora, che si ritirano sull’Aventino, perché sono stufi di farsi sfruttare dai ricchi: in quell’occasione ci volle Menenio Agrippa, un patrizio, per spiegare ai poveri (ma parlava a nuora perché suocera, cioè l’aristocrazia, intendesse) che tutte le parti sono necessarie al funzionamento del corpo; serve la testa, ma servono anche le braccia…
Storia, allora, è una parola di grande spessore, una parola grave: “O Italiani, io vi esorto alle storie!” fu l’invito drammatico di Ugo Foscolo in presenza di tante calamità da compiangere e tanti errori da evitare.
Ma storia può essere anche una semplice… storia di vita: “Questa è la storia di uno di noi… (Celentano).
Se uno si chiede: perché si fa storia a scuola? Semplice la risposta: per capire da dove veniamo e dove vogliamo andare. E allora perché quel professore nelle interrogazioni usava il severo sistema dell’indietrina? Che senso aveva pretendere che si sapessero imperatori, re e papi all’indietro uno dopo l’altro: Nerone, Claudio, Tiberio, Augusto… Povera Storia, maestra di vita.