Questa che vi riporto è una piccola storia, e potrebbe sembrare insignificante, anche se non lo è stata per me. Io e Nadia ci siamo incontrate in montagna, quando entrambe frequentavamo l’associazione Dedalo Trekking. Io ero una delle più giovani, quasi una mascotte del gruppo e mi sono subito affezionata a questa donna dolce e sorridente, che sapeva ascoltare, che sapeva dirimere le controversie con autorevolezza, pacatezza ed intelligenza. Per me, pur non essendo proprio un’adolescente, erano le prime prove generali di indipendenza, di educazione emotiva, sentimentale, culturale, politica. Il suo esempio e le sue parole sono state per me un riferimento significativo.
Poi gli studi universitari ad un certo punto mi hanno allontanato dall’Italia. Ricordo tutt’ora i suoi occhi un po’ lucidi, e la sua dichiarazione di essere dispiaciuta e preoccupata del fatto che avremmo potuto perderci di vista. Io, dall’alto della mia inesperienza, l’ho rassicurata: “non preoccuparti, non ti libererai così facilmente di me”. La vita poi ha smentito la mia sicurezza. Ma ecco cosa fece Nadia quando mi salutò. Un pensiero, un oggetto che nella casa di un italiano non può mancare mai, tanto più all’estero: una moka. Fin qui niente di strano, ma qualcosa fece la differenza; perché non mi regalò un moka nuova, ma usata, presa dalla casa dei propri genitori, perché “una moka nuova non fa caffè buoni”, quindi l’aveva sì comprata nuova, ma per sostituire quella dei suoi, ai quali l’aveva sottratta con una scusa. Un piccolo gesto, per farmi sentire a casa, la sua casa, anche a migliaia di chilometri di distanza. Un piccolo gesto d’amore, di amicizia, di vicinanza, che tuttora mi scalda ogni volta che mi faccio un caffè.
Grazie Nadia
Francesca Bonemazzi