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Gli abeti e le prigioniere


numero 11 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – ottobre 2020


logo dello Short Film Festival

Nell’ambito della 77a edizione della Mostra del cinema di Venezia, nella sezione Venice Architecture Short Film Festival 2020 per opere cinematografiche dedicate all’architettura, ha ricevuto il premio come miglior cortometraggio, fra venti titoli selezionati dalla giuria, il documentario sul progetto scenico realizzato dallo Studio Stefano Boeri per la rappresentazione delle Troiane di Euripide al Teatro greco di Siracusa nell’estate 2019.

Il tema della rassegna quest’anno è stato Living together again, cioè «Vivere insieme di nuovo». La nuova vita di cui parla nei suoi sedici minuti il corto diretto da Stefano Santamato e intitolato anch’esso Troiane, è quella di 400 abeti della Carnia, scelti da Boeri fra quelli abbattuti nell’autunno 2018 dalla tempesta Vaia e dei quali si segue il lungo viaggio di 1500 km. verso Siracusa. Destinati a rivivere come testimoni muti e dolenti della disperata resistenza delle donne Troiane, cui li accomuna la sorte di perdenti.

la scena al Teatro greco di Siracusa

Sulla scena alcuni tronchi giacciono a terra e la maggior parte sono stati issati a rievocarne la possanza prima che si abbattesse su di loro l’irresistibile sciagura: con le parole di Boeri, «più un paesaggio che una scenografia». Alberi issati di nuovo per restituir loro la dignità di quando erano eretti, esposti per l’ultima volta in piedi allo sguardo degli umani sulle gradinate e degli alberi vivi tutti intorno. Alberi avviati poi ad una seconda vita nella filiera del legno siciliana.

Non ho visto il documentario commissionato dallo Studio Boeri ma spero di aver modo di vederlo; tuttavia, ho seguito le notizie di stampa al riguardo e guardato il trailer e l’anteprima, nella quale l’architetto Boeri parla del progetto. Avevo già condiviso con voi l’attenzione che il cinema ambientalista ha portato sulla distruzione delle foreste e vi invito a dedicare quattro minuti o poco più al video sul progetto scenico richiesto a Boeri da Antonio Calbi, sovrintendente dell’Inda, per rivivere le emozioni di Boeri e di tutti noi davanti a quelle “foreste schiantate” di abeti bianchi e rossi, per ricordare il “perturbante dolore” di fronte alla capitolazione di quei simboli di forza e resistenza, domati da una “natura incapace di rispondere ai cambiamenti del clima generati dalle nostre attività”.

Anche se dissentirei su quest’ultima affermazione di Boeri, pur ritenendo che si sia solo espresso male: la natura sicuramente risente del cambiamento climatico prodotto dalle nostre azioni sconsiderate ma non è il suo compito quello di adeguarsi alle nostre malefatte; siamo piuttosto noi, la specie animale più dannosa, ad essere a rischio delle conseguenze del nostro stesso operato e a dover rinsavire. Dopo un terremoto o un’alluvione o un’eruzione vulcanica (ma anche una pandemia, come abbiamo dolorosamente imparato), manifestazioni potenti di quella stessa natura che ci incanta con i suoi tramonti, i ruscelli e gli uccellini, la natura stessa ritrova il suo equilibrio, e siamo noi a dover contare danni e vittime. Gli squilibri climatici credo che rientrino in una ciclicità naturale, che nella storia annovera gelate eccezionali, siccità altrettanto straordinarie, e alluvioni e inondazioni. Noi, con le nostre attività abbiamo aumentato l’intensità dei fenomeni e ne abbiamo incrementato la frequenza e dobbiamo tornare indietro prima della catastrofe (nostra, non della natura). Nel caso specifico della tempesta Vaia bisogna che ci assumiamo anche la responsabilità conseguente allo sfruttamento intensivo dei boschi, che ha portato a sostituire ad altre essenze il redditizio abete rosso, di rapida crescita e dalle radici inconsistenti. Boschi giovani, sottoposti a tagli frequenti, spazzati via come bastoncini del mikado.

A proposito, la tempesta Vaia ha un nome di donna, come gli uragani americani. In Europa è soprattutto l’Istituto di Meteorologia dell’Università di Berlino a “battezzare” tali fenomeni, accettando in pagamento le candidature proposte dai clienti, per raccogliere fondi per la ricerca del dipartimento. Con 199 euro vi portate a casa (si fa per dire!) un ciclone di cui omaggiare la vostra signora. Farete un figurone! O no?

Marina M.

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