newsletter: Conversazioni iridate

Buon sangue non mente!


numero 17 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – ottobre 2021


Sul Monte San Leonardo il 19.12.2020

Bruno, un ingegnere elettronico che guarda verso lo spazio cosmico, ma che ci azzecca con Arcoiris? Avrebbe detto Di Pietro. E invece Bruno è uno dei veterani della nostra squadra e anzi lo possiamo proprio considerare un vero e proprio top player. Così direbbe uno dei “moderni” telecronisti calcistici.

Se volete individuare le più belle escursioni in montagna di Arcoiris andate a cercare nei nostri archivi quelle organizzate da lui. Si dirà: “ma sono toste!”. Sì, in effetti, dislivelli e fatica non difettano, ma ormai, da diverso tempo, anche lui ha dovuto prendere atto delle qualità dei soci Arcoiris: portentosi nell’enogastronomia, magnifici nella conversazione, superlativi nella condivisione, un po’ pippe nello sforzo fisico. Ed ecco che Arcoiris è perfino riuscito a portare su vette, bellissime, ma che somigliano a colline, uno come Bruno che sarebbe da sentieri himalayani!

Andare in montagna. Ti ricordi quando iniziasti? Chi ti fece conoscere quel mondo?

Fu mio zio Gualtiero a suggerire a mia madre la nostra iscrizione al CAI, per passare al meglio le nostre domeniche. Avevo 13 anni. Ci iscrivemmo per andare a sciare con il gruppo giovanile (ESCAI), ma poiché era ottobre cominciammo con le gite sociali insieme ai grandi … e non smettemmo più.

Una volta mi raccontasti di quando, giovane studente, partivi da Roma col treno per affrontare aspri sentieri abruzzesi. Ci racconti?

Sì, allora non avevamo ancora l’età per la macchina, e quando non c’erano le gite sociali con il pullman, andavamo per conto nostro in treno. Per le gite lunghe, toccava partire in treno alle 4 del mattino e tornare con il famoso diretto di mezzanotte e mezza, erano altri tempi! Inoltre, si partiva e si tornava con gli scarponi ai piedi e senza vestiti di ricambio; quindi, se era piovuto (e succedeva spesso, dato che le previsioni meteo erano praticamente inesistenti) era un vero supplizio. Ma la passione supera qualsiasi ostacolo.

Delle montagne dell’Appennino a noi vicine quale preferisci? C’è un’escursione a cui sei particolarmente affezionato?

Ci sono diverse montagne nel Lazio e in Abruzzo che ho salito letteralmente decine di volte, da tutti i versanti e in tutte le stagioni, ed ogni volta è un’emozione nuova perché le variabili sono infinite: la compagnia, i colori, il meteo, il proprio stato d’animo. A ben cercare, anche nei gruppi montuosi più bassi si può trovare ispirazione, ma certo prediligo le cime più alte. A molte vette sono legato da motivi diversi: affettivi (con chi le ho salite), tecnici (come le ho salite), ambientali (quando le ho salite). Di recente abbiamo intrapreso un’esplorazione sistematica e scopriamo ancora gite meravigliose inedite, sfruttando anche le nuove app per il cellulare e le informazioni delle comunità online degli escursionisti, che sono molto cresciute.

Hai fatto anche lunghe traversate?

Sì, alcune, ma quella che mi è rimasta più impressa nel cuore è la traversata del Parco Nazionale d’Abruzzo che ho fatto con mio fratello quando avevo 16 anni: in tre giorni da Balsorano a Villetta Barrea senza scendere mai dalle creste, con due bivacchi in quota, quindici cime, migliaia di metri di dislivello superati. Attrezzatura, cibo, ricambi, tutto nello zaino, senza incontrare mai nessuno. Scarse difficoltà tecniche, solo quell’infinito andare. La felicità allo stato puro.

L’escursione più dura che ti è capitato di fare?

Le salite in Dolomiti e sulle Alpi sono normalmente più impegnative delle montagne appenniniche. Ma non è così nella stagione invernale: in particolare al Gran Sasso, la particolare esposizione alle correnti umide del mare può creare condizioni climatiche molto severe, con venti davvero impressionanti. Un inverno di molti anni fa, ci capitò di dover scendere dal rifugio Duca degli Abruzzi all’albergo di Campo Imperatore, itinerario che d’estate richiede una ventina di minuti e che conoscevamo a memoria, avendo in gestione il rifugio. Ma il tempo si guastò in un attimo. Impiegammo oltre tre ore per scendere, nella nebbia più assoluta e con un vento così forte (registrato dall’Aeronautica a oltre 110 km orari) che dovemmo strisciare ancorati alle piccozze per non volare via. Ce la cavammo solo per la conoscenza dei luoghi e l’esperienza alpinistica.

C’è un’escursione che avresti voluto fare, ma che, per un motivo o per un altro, non sei mai riuscito a compiere?

Certo, l’incredibile Civetta! Una cima dolomitica che vale il viaggio anche solo per ammirare la sua immensa parete nord-ovest: una muraglia alta più di un chilometro e larga quattro, che al tramonto si tinge di un magnifico rosa. È tanto tempo che progetto la salita per la via ferrata degli Alleghesi, ma finora l’ho dovuto rimandare. Ma mi sto allenando con altre vie ferrate …

In un’intervista Mario Rigoni Stern (Ritratti. Mario Rigoni Stern, di Carlo Mazzacurati e Marco Paolini, edizioni Fandango) afferma: “Domando tante volte alla gente: avete mai assistito a un’alba sulle montagne? Salire la montagna quando è ancora buio e aspettare il sorgere del sole. È uno spettacolo che nessun altro mezzo creato dall’uomo vi può dare, questo spettacolo della natura.”

Ti è mai capitata un’esperienza simile?

Ha senz’altro ragione Rigoni Stern. E se si tratta di un bivacco in quota, prima ancora dell’alba hai potuto assistere al tramonto: sono entrambi momenti indimenticabili, che valgono il piccolo sacrificio che comportano. In alternativa, posso consigliare a tutti il pernottamento in un rifugio, che consente di godere di questi scenari in tranquillità, anche se si perde forse un pizzico di avventura.

Hai accennato al periodo in cui partecipasti alla gestione di un rifugio. Come capitò? Cosa ti è rimasto più impresso di quell’esperienza?

È un capitolo fondamentale di alcuni anni della mia vita, che ho condiviso con Alessandra. Il CAI stava cercando dei gestori per il rifugio Duca degli Abruzzi, che era in cattive condizioni, e con Luca e Sandrina, due nostri amici appassionati di montagna, ci offrimmo di lavorarci su. È stata un’esperienza completa, sia sotto l’aspetto umano sia organizzativo; la chiave per riuscire fu il supporto di un gran numero di amici, amanti dell’avventura come noi, che si diedero spontaneamente da fare per aiutarci nei lavori di ristrutturazione e poi di avvio della prima stagione estiva. A quel tempo al rifugio non c’era ancora l’elettricità e neppure l’acqua, si doveva portare tutto a spalla; ognuno che venisse al rifugio portava uno zaino di viveri, o una tanica d’acqua, o una bombola del gas, e riceveva in cambio un piatto di pasta. Sono stati anni molto intensi, passati in parallelo ai miei studi universitari; pensare che alcuni esami, quelli con i risultati migliori, li ho preparati proprio nella quiete del rifugio durante la “bassa stagione”. D’estate si faticava a star dietro agli ospiti, anche per la mancanza di servizi del rifugio che purtroppo era molto indietro rispetto agli standard alpini. In autunno e inverno, però, il luogo ritrovava la sua solitudine e la natura ci offriva giorni indimenticabili, lontani da qualsiasi frenesia. Tra l’altro, proprio al rifugio organizzammo la nostra festa di matrimonio con tutti gli amici!

Più in generale, parliamo dei rifugi. Sicuramente ne hai visitati tanti. Ce n’è qualcuno che ci puoi segnalare per la sua bellezza, funzionalità o particolarità?

Oggi si definiscono rifugi anche molti alberghetti al termine di una strada. Ma la genuinità di un rifugio è spesso proporzionale al tempo che si impiega a raggiungerlo, perché questo ostacolo crea un filtro naturale al tipo di persone che ci incontrerai. Inoltre, sono importanti l’ambiente, l’architettura e, soprattutto, i gestori: il calore, o meno, che ti accoglie all’arrivo è una sensazione che non si può fabbricare, o c’è o non c’è. In Appennino ci sono pochi rifugi: segnalo il rifugio Vincenzo Sebastiani al Velino, gestito dalla nostra amica Eleonora, dove si possono anche godere durante l’estate dei concerti all’aperto o dei corsi di meteorologia, e il rifugio Carlo Franchetti al Gran Sasso, gestito da Luca, con cui condividemmo l’esperienza al Duca degli Abruzzi. In Dolomiti e sulle Alpi la scelta è infinita: sono molto più attrezzati dei nostri dato l’alto livello di frequentazione e, di conseguenza, la maggiore disponibilità di budget. A causa dei dislivelli importanti di quelle montagne, sono spesso indispensabili per compiere la maggior parte delle salite e la sera è affascinante ascoltare le conversazioni degli alpinisti che si preparano alla salita o, dai meno giovani, i racconti di storiche imprese passate. Tra i più belli mi viene in mente il rifugio del Velo della Madonna, sotto lo “Spigolo del Velo”, una delle più importanti arrampicate classiche di tutte le Dolomiti. E poi ce ne sono di magnifici in Tirolo, quelli con le tende a cuoricini alle finestre e la stube in salone. Tra i più particolari, poi, certamente il Refuge du Couvercle, sul versante francese del Monte Bianco, il cui nome deriva dal fatto che l’antico bivacco era stato costruito sotto un gigantesco masso piatto che, in bilico, fungeva da coperchio (couvercle) del ricovero. E come dimenticare i bivacchi? Scatole funzionalissime, che in pochi metri quadri racchiudono l’essenziale per la notte: qualche brandina, un tavolo a ribalta, alcuni viveri di emergenza. In Appennino c’è il bivacco Bafile al Corno Grande, vero nido d’aquila appoggiato su una piattaforma di pochi metri quadrati, con una vista mozzafiato sulla Valle dell’Inferno; ma arrivarci non è banale e la mattina quando esci mezzo addormentato devi stare proprio attento!

E tra i gestori dei rifugi te ne ricordi qualcuno in particolare?

Un paio di anni fa siamo tornati con Alessandra all’Innsbrucker Hutte nella valle di Stubai (Austria), dove avevamo pernottato 36 anni prima durante il nostro viaggio di nozze. Incredibile: i gestori, moglie e marito, erano gli stessi di allora, e proprio nell’anno del nostro matrimonio ne avevano iniziato la gestione! Hanno passato una vita insieme in quel rifugio ad occuparsi degli ospiti. Ci hanno fatto grandi feste e offerto da bere, è stato un momento emozionante!!

Paolo Cognetti in Le otto montagne, edizioni Einaudi, scrive: “La montagna non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio tempo e misura.” Tu hai mai pensato di mollare tutto e andare a vivere in montagna?

Sì, ci abbiamo pensato a lungo con Alessandra mentre gestivamo il Duca degli Abruzzi. La montagna vissuta in maniera integrale, chi di noi non ci ha pensato almeno una volta? Noi ci siamo stati vicini, come anche molti nostri amici di allora: Luca, ad esempio, c’è riuscito, ma ha dovuto rinunciare ad una famiglia, perché in Appennino la situazione economica dei rifugi è molto più difficile che sulle Alpi. L’utilizzo dei rifugi da noi è ancora marginale e la stagione estiva è troppo concentrata, gestirli e viverne è un sogno quasi impossibile. Qualcosa sta lentamente cambiando, ma avremmo bisogno di un grande salto culturale che dovrebbe iniziare in età scolare: in Francia, ad esempio, la montagna è parte integrante dell’educazione, dall’amore per la natura fino alle palestre di arrampicata artificiale. Comunque noi, dopo aver meditato a lungo, tenemmo i piedi per terra e decidemmo che avremmo dedicato alle montagne ogni momento libero dal lavoro: e così è stato.

A Punta Trento con Arcoiris, il 21.9.2019

Veniamo alle escursioni.

Secondo te quali sono le caratteristiche fondamentali per guidare un gruppo di escursionisti?

Oltre la ovvia conoscenza tecnica e dei percorsi, alcuni elementi di base, quali la pazienza, il sapersi mettere nei panni degli altri, la capacità di pianificare, la flessibilità di fronte al cambiamento delle condizioni (del tempo, dei partecipanti), sono indispensabili. Il CAI è stata una grande scuola, che mi ha consentito anche di seguire corsi specifici per accompagnatori. Ma, come si dice, non si finisce mai di imparare: pur avendo accompagnato in tutti questi anni centinaia di gite con persone di tutte le età, dai bambini più piccoli agli adulti più grandi, basta una distrazione di un attimo per creare un problema. Ecco, forse la concentrazione, da mantenere anche nelle situazioni apparentemente più tranquille, è la caratteristica cruciale; nelle escursioni impegnative è più difficile perdere il controllo, perché tutti sono impegnati al massimo. Sono le escursioni medio/facili le più rischiose da questo punto di vista. Come pure lo è il momento della discesa, quando subentrano l’appagamento per la riuscita e la stanchezza.

L’escursionista più strambo che ti è capitato di incrociare in montagna?

In una gita invernale di una cinquantina di partecipanti, che conducevo per conto del CAI, durante la discesa mi raggiunge l’altro accompagnatore che chiudeva il gruppo e mi chiede concitato di intervenire: uno dei partecipanti, un ragazzo ben piantato, immerso nella neve fino al polpaccio come tutti, lamentava dolori fortissimi ai piedi. Gli chiedo di mostrarmi il problema e scopro con terrore che indossa le scarpe da ginnastica e i suoi piedi sono viola! Comincio subito il massaggio, frizionando energicamente e lungamente le parti, mentre il resto della comitiva continua la discesa, finché le sue grida di dolore confermano che la circolazione sanguigna è stata ripristinata. Gli infilo due calzini asciutti, gli lego due buste di plastica sulle scarpe da ginnastica e raggiungiamo penosamente gli altri al bus. Da quel giorno, in tutte le gite invernali ho sempre controllato personalmente le calzature dei partecipanti alla partenza …

Una volta sui Sibillini incontrai sul sentiero che va verso il lago di Pilato dei ragazzi con espadrillas ai piedi convinti di andare a farsi un bel tuffo in una specie di lago di Garda sugli Appennini! Di camminatori sprovveduti ne hai incontrati tanti?

Quando gestivamo il rifugio ne abbiamo viste di tutti i colori! Soprattutto ad agosto, c’era gente che pretendeva di pranzare con un menù alla carta come se fosse al ristorante ai Parioli, oppure che saliva con le infradito e poi si lamentava dello stato del sentiero. Tutte le volte che vedevamo situazioni a rischio cercavamo di avvisarli: mentre alcuni ringraziavano e ridimensionavano i loro programmi tornando indietro, altri rispondevano piccati perseverando nell’errore e a volte le cose si mettevano male. In alcune occasioni è dovuto intervenire il soccorso alpino per recuperare persone che si erano avventurate su itinerari oltre il rifugio davvero impegnativi, senza alcuna preparazione e attrezzatura.

Tra le raccomandazioni che ci hai sempre fatto c’è quella che riguarda la dotazione di un cambio completo da lasciare in macchina. Ti è capitato di finire una camminata zuppo d’acqua e intirizzito dal freddo?

Moltissime volte! Come ricordavo prima, le previsioni meteo affidabili sono una conquista relativamente recente. Una volta che ti eri iscritto ad una gita, o che l’avevi programmata per conto tuo, partivi e basta. Sarà per questo che ricordo come la maggior parte delle escursioni della mia gioventù sia passata sotto l’acqua, in particolare nelle escursioni di più giorni. Un settembre partimmo per una traversata al Gran Sasso e trovammo una giornata di pioggia battente: arrivati al bivacco, tirammo fuori dallo zaino il sacco a pelo, ma era completamente inzuppato, come tutto quello che indossavamo, e ci toccò dormire in mutande. Il giorno successivo rientrammo sotto una bella nevicata!

Anche oggi, nonostante le nuove tecnologie, la prudenza non è mai troppa e conviene sfruttare la comodità di poter lasciare un cambio asciutto in macchina. Se invece si tratta di una traversata, il ricambio nello zaino va sigillato accuratamente.

Per te qual è il momento più bello dell’escursione: il momento dell’incontro iniziale con tutti i partecipanti, le chiacchiere lungo il sentiero, il raggiungimento della cima prefissata, la pausa pranzo magari in vetta, la birra al termine dell’escursione?

Davvero difficile fare una scelta. Ciascuno di questi momenti porta con sé una gioia particolare e diversa. Potrei aggiungere a questi: i preparativi prima della gita, con lo scambio di messaggi entusiasti o a volte dubitativi a causa del meteo, oppure le riflessioni del dopo gita per analizzare com’è andata e progettare nuove mete.

Andiamo verso la conclusione e parliamo di Arcoiris. C’è un’escursione di Arcoiris che ti è rimasta impressa nella memoria?

Le escursioni di più giorni, come le Foreste Casentinesi o il Monte Velino degli anni scorsi, sono le mie preferite, perché si crea un clima molto bello: si ha più tempo per chiacchierare, rilassarsi, creare nuovi progetti insieme. Se poi la notte si spende in un rifugio, anziché in un B&B o in un hotel, la gioia raddoppia per lo stare completamente immersi nel nostro amato ambiente.

Per il futuro. Sai che Arcoiris ormai organizza varie iniziative. Alle escursioni in montagna si sono aggiunti man mano i trekk urbani, le visite a musei o mostre, le camminate nei parchi urbani, le iniziative di solidarietà. Ci vuoi consigliare un itinerario o un’iniziativa da mettere in cantiere?

Tra gli itinerari, potremmo inserire in programma qualche escursione più lunga o qualche ciaspolata invernale; tra le iniziative, potremmo sfruttare le piattaforme web per una serie di incontri online dell’associazione sui temi più diversi, dalla natura all’arte: da parte mia potrei occuparmi della parte escursionistica (progettazione degli itinerari, equipaggiamento, preparazione fisica, escursionismo invernale, etc.).

Finiamo con i suggerimenti.

Ti piace leggere libri che riguardano la montagna, le grandi imprese di scalatori o escursionisti? Se sì ce ne consigli qualcuno?

La mia infanzia è stata certamente segnata dalla lettura dei libri di Bonatti, da Le mie montagne a I giorni grandi, e di Reinhold Messner, i classici che non possono mancare nella nostra libreria. In questo periodo ho invece letto diversi racconti di alpinisti himalaiani (tra tutti, Simone Moro), alcuni di buona struttura. Ma i libri più vicini a noi che vi consiglio assolutamente di leggere sono I conquistatori del Gran Sasso, raccolta di emozionanti storie dell’alpinismo appenninico, e Rotti e stracciati. Aria di Roma sulle cime: racconta la rivoluzione alpinistica di un gruppo di ragazzi appenninici che negli anni settanta cominciò a salire le vie di roccia con le Superga da tennis al posto degli scarponi, arrampicando per allenamento sui ponti del GRA e dormendo nelle case cantoniere abbandonate. Forse nel suggerirvi questo libro sono un po’ di parte, perché io c’ero…

[l’intervista è stata raccolta da Luciano B.]

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