numero 12 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – dicembre 2020
Premessa
Marco enotecaro di Centocelle è, prima di tutto, una persona piacevole. In realtà Marco ha innumerevoli qualità, è curioso, è colto, sa ascoltare, quando parla non è mai banale. Orca … si potrebbe pensare che gli sto facendo un panegirico e invece no, invece sto facendo uno spottone ad Arcoiris. Le nostre uscite sono tutte interessanti, ma se anche fossero meno attraenti quando diventano occasione di incontro con persone come lui, di sicuro se ne esce arricchiti.
E andiamolo a conoscere, il nostro socio.
Tu hai partecipato a diversi appuntamenti di Arcoiris, ma se non erro, preferisci le camminate cittadine.
Sì, mi piace percorrere e attraversare a piedi le città.
“Camminare (senza meta) e ridere sono atti senza scopo, aperti alla scoperta, carichi di possibilità. Implicano apertura, curiosità, attenzione, disponibilità per gli imprevisti e le deviazioni improvvise.” Così scrive Gianrico Carofiglio in Della gentilezza e del coraggio, edizioni Feltrinelli.
Ti è mai capitato di camminare senza meta?
L’idea di camminare senza meta è un proposito che non ho mai raggiunto perché non mi ci sono mai applicato.
Vedi, io ho cominciato a lavorare presto, il lavoro da subito disponibile era fare il cameriere nei fine settimana per i tanti banchetti, per i battesimi, cresime e matrimoni.
Il lavoro soprattutto consisteva nel trasportare, camminando, cibo. Ho continuato per molti anni a camminare per hotel e ristoranti; ero giovane e camminavo fino allo sfinimento.
Il mio rapporto col camminare è stato compromesso dai ricordi dello sforzo fisico; quando mi chiedi se cammino senza meta mi viene da sorridere con malinconia.
Il tuo rapporto con la montagna?
Ho radici appenniniche.
Se devo decidere su una cosa importante salgo in montagna, vedere “le cose importanti” dall’alto è sguardo largo, ampio, lungo, calmo.
Ci racconti di qualche escursione?
Quando dalla Forestale seppi che era stata terminata la costruzione del rifugio Brg De Angelis Romolo, sul Monte Nuria, in provincia di Rieti, eravamo nel dicembre 2000.
Con mia moglie Laura e mio figlio Leonardo di 10 anni decisi di raggiungerlo e di passarci la notte del Capodanno di fine secolo.
E’ stata un’escursione molto impegnativa ma bellissima: il sentiero nella neve, il fuoco della stufa, le candele per la notte e i fuochi d’artificio che si vedevano lontano sul Terminillo. Memorabile lo stappo di spumante nella neve, al buio.
Le prime camminate sono quelle fatte al paese dei tuoi genitori? Erano camminate solitarie o in compagnia?
Da piccolo, con papà Valerio e in salita stavo attaccato alla coda di Nerina, il somaro del nonno Giuseppe.
Da grande, quasi sempre da solo con gli occhi bene aperti sugli spazi liberi a “respirare l’aria bona” e osservare i licheni.
Quali sono i ricordi più vividi di quelle esperienze?
Quando si andava in montagna con papà c’era sempre un MOTIVO: andare a vedere una vitella che passava l’estate nei prati alti o andare a riprendere in montagna il cavallo Rondello, un avelignese che serviva nell’inverno per la legna, procurare fieno o cercare il vischio per Natale; ma sempre per un MOTIVO.
Ricordo una cosa che doveva farmi diventare adulto, eravamo stati a seminare la favetta (serve per arricchire il seminativo) e finito il lavoro mi pregustavo la discesa spensierato.
Mio padre taglia una quercia non molto grande e ne fa una pertica lunga; me la dà da trascinare fino giù in paese perché a casa non ci si ritorna “spicci”, senza niente.
Il tuo lavoro di gestore di enoteca ti porta a confrontarti con i temi che riguardano l’agricoltura e l’ambiente. Parlare di ambiente oggi significa parlare di cambiamento climatico e col cambiamento climatico siamo arrivati sul terreno di Greta Thunberg.
Che ne pensi? La situazione è davvero grave?
Ti voglio rispondere sinceramente, io credo che un solo metro quadrato di natura incontaminata possa, da solo, salvare la terra. Sono sicuro della sua forza rigeneratrice, poi per quanto riguarda quello che sta nella testa e nelle tasche degli uomini, faccio riferimento agli occhi dei ragazzi che ho visto l’estate scorsa nelle piazze della Germania: hanno la stessa potenza rigeneratrice, dobbiamo affidarci a loro che sono dei Sapiens Sapiens.
Ma veniamo all’agricoltura. Coltivare e rispettare la nostra terra, si può? La nostra società capitalista e globalizzata non ci destina ad una catastrofe inevitabile?
No, sono un enotecario e vedo il bicchiere mezzo pieno.
Se ci pensiamo bene l’industrializzazione in Italia è stata importante e ha veramente cambiato la condizione umana e sociale di molte persone che si sono affrancate da problemi di povertà atavica, ma è durata un arcobaleno temporale di 40/50 anni. Ora il tema della sostenibilità è all’ordine del giorno. I contadini e le aziende agricole hanno assunto nuove sensibilità e ci attendono nell’agricoltura grandi cambiamenti. Il vincolo del rispetto della nostra terra e della sostenibilità, anche economica, è tema inevitabile anche per i mercati globali.
Nel mio paese di origine, in provincia di Ancona, si occupavano di agricoltura biologica già tanti anni fa. In provincia di Pesaro dall’intuizione di Gino Girolomoni nasce Alce Nero, una delle più importanti realtà biologiche nazionali. Oggi, secondo te, il biologico è un’alternativa vera allo sfruttamento selvaggio del territorio?
Non è la sola. Tendere a coltivare in biologico è giusto, sacrosanto, ma non può da solo assolvere il compito di sfamare il pianeta. È come pretendere che tutta l’energia che occorre agli uomini venga dall’energia solare. Impossibile con i consumi odierni.
I presìdi allo sfruttamento selvaggio del territorio sono le colture.
Ti faccio un esempio: i sugheri si coltivano in posti meravigliosi spesso vicino al mare, coltivarli significa preservare il territorio dalla speculazione edilizia.
Ma oggi molte aziende usano, per tappare le bottiglie di vino, tappi in silicone, più comodi ed economici.
Uomo e natura, un rapporto complicato e non da ora. Proprio tu mi hai fatto conoscere Nazareno Strampelli, anche le sue innovazioni non è che fossero accolte bene proprio da tutti. Ci vuoi dire qualcosa su di lui?
Proprio con la scoperta di Nazareno Strampelli, per me fatta attraverso un regista piemontese, Giancarlo Baudena con il film L’uomo del grano, ho cominciato a credere che i Sapiens organizzati riescono a trovare sempre la soluzione. Oggi suoi grani con nomi italiani, Varrone, Riccio, Dante sono coltivati in Cina, anche Mao Zetong aveva riconosciuto la qualità modificata dei grani selezionati da Strampelli. Le sue scoperte stanno conoscendo una nuova fortuna e si moltiplicano le opportunità per pastificatori e panificatori.
La scienza ci propone soluzioni anche controverse (OGM, incroci, etc.) e dobbiamo porci il problema senza pregiudizi, con tutte le cautele possibili. In questo credo che la nostra Comunità Europea possa fare da tramite e garante per una transizione ad una ruralità sostenibile.
Mi ha fatto molto pensare la provocazione di un contadino siciliano che si è presentato al bancone del bar del paese volendo pagare un caffè con un sacchetto da 5 kg. di grano. A lui, 5 kg. di grano sono pagati quanto un caffè.
E pensare che a Caltagirone e in tutta la Sicilia ho visto tantissimi bei palazzi, costruiti in passato proprio con i guadagni della coltivazione del grano.
Le colture e le culture cambiano i destini dei contadini.
Visto che abbiamo parlato di sfruttamento della terra è inevitabile soffermarsi sulla condizione dei lavoratori dei campi. L’agricoltura qualche volta si sposa con una sorta di nuovo schiavismo. Si parla di raccolta dei pomodori o di arance, ma le vendemmie invece?
Sì, il nostro vigneto ha bisogno di braccia ma anche di tutele e leggi, lo schiavismo non si può mai permettere. I nostri governi se ne devono occupare: è URGENTE!!!
Ti racconto il mio metodo di selezione delle aziende. Cerco posti vocati alla viticoltura e in Italia ce ne sono molti. Entro virtualmente nella chiesa del paese e vedo le opere che sono esposte, più è ricca la collezione di opere, più i vini del luogo saranno buoni.
Per i mezzadri coltivare la vigna era il solo ed unico modo per comprarsi il podere, e quando parlo con un vignaiolo gli chiedo: quante vendemmie hai fatto? Chi viene a vendemmiare?
Le risposte sono varie, ci sono accordi annuali con persone che dalla Polonia vengono in pullman a vendemmiare il dolcetto in Piemonte; vengono dalla Romania e si conoscono per nome tra loro; rientrano nel giro di conoscenze, sono amici o vicini o sono ragazzi che fanno esperienza di lavoro, altri vendemmiano come forma di turismo attivo in vigna.
Certi vignaioli si innervosiscono e non capiscono la domanda …
I produttori di vino hanno fatto qualcosa contro i soprusi nei confronti della mano d’opera che usano?
No come categoria, sì come singoli.
È un problema del solo meridione d’Italia o anche il prosecco e il barbera sono ottenuti con lavoro nero e sottopagato?
Purtroppo il lavoro nero è diffuso in tutta la penisola.
Noi consumatori possiamo fare qualcosa?
Sì, rifornirci nei negozi di fiducia e badare alla tracciabilità ed esigere etichette chiare.
Per finire. Arcoiris, ti ricordi come l’hai conosciuta? C’è un’escursione che ti ha colpito particolarmente?
I clienti dell’enoteca Massimo, Caterina, Pino, Livia, Francesca, Roberto, tra un bicchiere e una chiacchiera, parlavano di Arcoiris.
Tra le uscite di Arcoiris, quella fatta a Roma, sul colonialismo italiano in Africa, si è sposata con una mia urgenza.
Ci vuoi suggerire qualche altro itinerario o iniziativa da mettere in cantiere?
C’è un museo, il MuSGra a Rieti, dedicato a Strampelli che propongo di visitare con Arcoiris, quando la ricostruzione post sisma ce lo restituirà.
E a Roma, i posti e le storie dei campi nomadi.
Infine, stavolta è davvero l’ultima domanda, consigli.
Ci suggerisci qualche libro, qualche film, qualche risorsa web che tratta i temi di cui abbiamo parlato finora?
Per quanto riguarda i libri ne propongo tre:
Bruce Chatwin, Le vie dei canti, ed. Adelphi. Nel libro l’autore ci introduce al “walkabout” (cammina in giro) australiano per interpretare, attraverso i canti ancestrali, le conoscenze geografiche.
Fosco Maraini, Paropàmiso, ed. Mondadori. È il racconto della spedizione romana nelle montagne dell’Hindo-Kush.
Robert Byron, La via per l’Oxiana, ed. Adelphi. A proposito di “Come la terra è lo strumento di un giardino”.
Per il web invece consiglio:
Dialoghi Mediterranei
Grazie Marco e … buon cammino!
[autore dell’intervista è Luciano B.]