numero 13 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – febbraio 2021
Premessa
Giuseppe Musumeci è un Siculo che nasce a Torino e che si trova benissimo nel sud Tirolo. Romano de periferia che si è trasferito nella “ricercata” Monteverde vecchia, è il più grande cultore di Tex Willer che io abbia mai incontrato. Legge tanto, impegnato nel sociale da sempre, segue Radiotre ma soprattutto è quello che mi ha insegnato ad andare in montagna.
Camminargli vicino durante le uscite di Arcoiris ti permette di seguire conversazioni mai banali. E poi le battute: Arcoiris possiede una squadra di battutisti formidabile, Peppe è una delle punte di diamante.
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Con te ho iniziato la mia esperienza di escursionista sui sentieri francesi della Val Vanoise, ma tu avevi un’esperienza in montagna già consolidata. Quando hai iniziato, dove, con chi?
L’amore per la montagna è nato a Capodacqua, il paese di mia madre, di cui oggi, dopo il terremoto del 2016, rimane solo la chiesetta della Madonna del Sole. Allora andavo in montagna in groppa alle cavalle da soma, in compagnia dei cugini di mia madre, a raccogliere il fieno per i prati di Forche Canapine.
Ricordo una vacanza di una settimana dalla sorella di mia nonna, che si trasformò per quella nuova passione, in un soggiorno di due mesi!
La montagna nel senso che la conosciamo noi ha invece un nome: Roberto. Roberto era (è) un amico di quartiere, di qualche anno più grande di me; ci incontravamo la sera al Bar Speranza, un grande gruppo di venti, trenta persone. Mi propose una escursione sul Monte Gennaro: prendemmo la bidonvia e ci fermammo dopo poche centinaia di metri, per la nebbia. Era il 1979!
Ma ci riprovammo, da Prato Favale, con la tenda e tutta l’attrezzatura: ho ancora la foto, in cui sto rimboccando l’acqua alla mia 850 Special, già a Largo Irpinia (cioè non lontano da Via Tor de’ Schiavi)!
Ma il salto lo abbiamo fatto quell’estate: conoscevo Capodacqua e ideai il mio primo trekking; sei giorni in tre tappe, con la tenda. Partenza da Capodacqua, prima tappa ai Pantani di Forca Canapine, seconda tappa alla Madonna delle Coste ad Accumoli, poi ritorno a Capodacqua; per ogni tappa erano previsti due o tre giorni di sosta per girare nei dintorni.
La partenza da Capodacqua fu epica, con le pentole e le scarpe attaccate fuori degli zaini (quelli verde militare dell’esercito!), due di noi portavano le tende, un altro la bombolona … eravamo cinque: quattro maschi e una femmina (che non è mai più venuta in montagna con noi: cosa avrà voluto dire!?).
Dopo una lunga salita, arrivammo a un fontanile, che conoscevo, ma non ricordavo dovesse essere sul nostro cammino; l’incontro con Giancarlo, un cugino di mia madre, e le sue cavalle fugò ogni dubbio: eravamo alla Fonterella, cioè verso la zona delle Cese, e non verso i Pantani!
La mia carriera di ‘guida’ cominciò così, sbagliando strada in una montagna che conoscevo per averla percorsa molte volte a cavallo (e ridiscesa a piedi, con le cavalle cariche)!
Devo dire che, nonostante questo, chi mi ha seguito in quaranta anni si è fidato sempre, anche contro l’evidenza! Il perché non lo capisco ancora …
Poi seguì il giro del Monte Bianco (con molte tappe fatte in bus), io e Roberto, e infine il salto: nel 1981, Roberto ci propose la Grande Traversata delle Alpi, allora appena ideata dalla Regione Piemonte, ricalcando la Grande Traversée des Alpes Françaises. Partimmo in sei.
Ne seguirono altre quattro o cinque, con la scoperta dei Parchi Francesi, e di tutto l’arco alpino piemontese. In tre, quattro, sei, a seconda degli anni.
Cinque anni di sosta, e poi, ho ripreso con te, Luciano, Lucilla e Franco; ma questa storia la conosci già.
Andare in montagna con un gruppo e per un trekking di più giorni è un po’ come andare in barca, la vicinanza prolungata trasforma rapporti amichevoli in scazzi feroci. Abbandoni e litigi durante un trekk, ce ne puoi parlare, vero?
Discussioni su tutto, con il gruppo: Roberto era intrattabile (e io pure), voleva fare come diceva lui, poi non sopportava in Francia la pasta come contorno. Ma trovavamo momenti di complicità, come quella volta che, non accettati per cena (perché era tardi) a un rifugio del Club Alpin Francais, cucinammo gli spaghetti nella nostra stanza con tanto di scolo della pasta nel lavandino!
E una volta si incazzò veramente, perché avevamo deciso di continuare il giro, in tre (per la Vanoise, tanto per cambiare), mentre Alberto doveva smettere per il mal di schiena; Roberto rimase con lui, con delle varianti più leggere.
Nel nostro gruppo, mi ricordo sempre le litigate con Lucilla, ma non ricordo più perché, e poi passava. Poi io sono cambiato (e lei si è addolcita), e le litigate sono sparite. L’ultima che mi ricordo in assoluto fu invece con Livia, ma non so più perché; ricordo invece la capacità di Franco, che era con noi, di invitarci a smorzare i toni. E ci riuscì.
Il timore di molti escursionisti è quello di perdere il sentiero. Mi pare che anche a te o ai tuoi compagni di escursione sia capitato di non trovar più la strada. Paura??? Direbbe Lucarelli.
Su questo ho già detto, e non infierire. Come quella volta, agli Ecrins, che non vidi sulla carta tre passi di montagna e ideai una tappa che tagliava diritto, per un tunnel immaginario!
Altra questione importante per chi va per sentieri: il vestiario, lo zaino. Ricordo che tu avevi un grande foglio quadrettato compilato a mano con uno schema preciso per cosa mettere nello zaino. Esiste ancora quel foglio? E un po’ di nostalgia per le maglie di lana e gli scarponi di cuoio?
L’ultimo capo non tecnico ad aver abbandonato sono state le mutande! Amo sottolineare che in montagna sono molto più elegante che in città, e porto solo capi firmati! Nessuna nostalgia per le maglie di lana. Pensa che, nel giro del Monte Bianco, di cui ho parlato prima, avevo uno zaino Ferrino con l’armatura in alluminio, e per il peso eccessivo, alleggerii il carico, lasciando un pacco di cinque chili (!) all’Ufficio postale di Chamonix.
Le cartine, che mondo mi hai aperto! I pomeriggi e le serate nei rifugi passate a studiare la cartina della tappa del giorno successivo sono ricordi indelebili. Orientare male il foglio o sbagliare il verso delle curve di livello era un attimo. Dislivelli da principianti diventavano imprese adatte per Messner. Oggi c’è l’elettronica e il gps, tu usi ancora le cartine? E come prepari le escursioni?
Non ho ancora fatto il salto telematico, e uso ancora le cartine. Certo, se dovessi fare i vostri trekk, avrei certamente bisogno del GPS, ma per il momento mi basta una guida e una cartina. Ma l’Appennino è duro da percorrere …
Oggi, sul modello di quello di Santiago, anche nel nostro paese sono fioriti numerosi “Cammini”. I camminatori sono tanti e i numeri dei frequentatori della Francigena, per esempio, sono notevoli. Che ne pensi di questo tipo di esperienza?
Solo una cosa: li invidio. Cioè invidio la loro volontà, e la loro voglia. Alla fine, devo ammettere che non mi piace più passare tanti giorni in trekking. O forse… dovrei ricominciare.
Bene, ora passiamo alle cose importanti, Tex Willer. Una delle sensazioni più belle nelle gite in montagna è quella di sdraiarsi a terra, magari su un bel prato, con lo zaino a far da cuscino. Lo zaino come la sella di Tex nei bivacchi delle praterie del west. Quanto Tex c’è stato e c’è nelle nostre camminate?
Uno degli album con le fotografie di un nostro trekk riportava delle vignette di una grande traversata di Tex e Carson; e lo citavamo spesso, camminando. Quello dello zaino usato come la sella di Tex era un mio tormentone. Ma da un po’ di tempo Tex sta nella sua riserva, e non ci accompagna più. (Alcuni traditori, anzi traditrici, amano ora leggere Julia, roba da femmine!).
Dulcis in fundo, ci suggerisci qualche libro, qualche film, qualche risorsa web che tratta i temi di cui abbiamo parlato finora?
Ultimamente, sto consultando un sito che si chiama ‘I montagnini’, con le descrizioni degli itinerari delle cime nostrane, ma ce ne sono veramente tanti. Una proposta di libro, invece, molto noto e molto particolare, anzi i libri sono quattro: i Vangeli. Gesù Cristo (con i suoi) è stato sicuramente un gran camminatore, e leggere uno dei Vangeli come un libro di viaggio, e verificare la lunghezza delle tappe, potrebbe essere un punto di vista interessante.
Grazie, e poi speriamo che la pandemia finisca presto e che ci si possa incontrare presto sui sentieri, d’altra parte “Solo le montagne non si incontrano mai” (collezione Tex n. 265 pag. 58)!
Ma Kit aveva Tiger a consolarlo, e si poteva permettere di mollare la bella messicanina!
[autore dell’intervista è Luciano B.]
Certo Giuseppw che afferma che Julia è da “demminucce” è poco credibile. Mi ricordo bene le sue scenate di gelosia quando è iniziata la storia tra Julia e Ettore. A chi vuol darla a bere!
Ciao, ma la Julia di cui parlate è la serie a fumetti “Avventure di una criminologa”?
Sì, giusto