numero 17 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – ottobre 2021
Su un numero dell’”Espresso” uscito lo scorso luglio leggo un articolo su El Palo Alto, la sequoia costiera, vecchia – sembra – 1081 anni, che dà nome alla città californiana cuore della Silicon Valley.
El Palo non è la sequoia più alta del mondo; oggi misura circa 33 metri ma nel 1814 era alta più di 49 metri, poi la sommità è morta per l’abbassamento della falda freatica (forse a causa del pescaggio dei pozzi dei vicini frutteti), così che le radici, che nelle sequoie non sono molto profonde, non hanno più potuto far arrivare la necessaria umidità a tutta la pianta.
L’articolo riporta l’allarme sorto fra i residenti per il progetto di realizzazione di una linea ferroviaria, che, pur non comportando l’abbattimento del gigante verde, ne distruggerebbe l’habitat, decretandone la morte in progresso di tempo. Per il momento la comunità ha ottenuto di procrastinare al 2024 la realizzazione della ferrovia ma la faccenda è tutt’altro che conclusa.
Per sapere qualcosa di più sul Palo cerco su Santa Wikipedia (ma anche su altre fonti) e apprendo che la pianta è dotata di un sistema di irrigazione che risale tutto il tronco, irrorando la chioma di goccioline d’acqua, al fine di “ingannare” la sequoia costiera, come se si trovasse davvero sulla costa dell’oceano e ogni mattina fosse investita dalla nebbia.
Scopro anche che i guai ferroviari del grande albero sono di vecchia data: in una foto del 1910 si vede una chioma assai rada, per effetto della fuliggine di carbone prodotta dalla vicinissima via ferrata. D’altro canto, la Southern Pacific Railroad si è anch’essa impegnata per la salute della sequoia, che oggi, malgrado l’ultimo oltraggio dei graffiti del 2010, gode di uno stato più sano di quello che aveva cento anni fa.
Ai danni prodotti dalla ferrovia si sommarono presto quelli dovuti alle nascenti industrie; tuttavia, il guasto maggiore fu provocato da un fenomeno naturale, una tromba d’aria che nel 1880 abbatté uno dei due tronchi dell’albero (che in origine erano tre), peraltro consentendo la datazione della pianta.
Si tratta di un albero dal forte valore simbolico: è il punto di riferimento storico sulla strada California n. 2; era il luogo dove si radunavano i nativi Ohlone; nel ‘700 fu la base di partenza di spedizioni scientifico-geografiche e delle ricognizioni degli agrimensori e dei missionari; ricorre sullo stemma della città che da esso prende nome e su quello della Stanford University. Per gli abitanti El Palo ha un fortissimo valore identitario, come la Tour Eiffel per Parigi o il Colosseo per Roma, con la differenza che qui non si tratta di un manufatto ma di un essere vivente. Se volete leggerne la storia, accedete alla pagina apposita del sito dedicato al grande albero: Palo Alto History.
Mi sono chiesta: ma a me, che non sono di Palo Alto e che non partecipo del sentimento identitario dei suoi abitanti, perché sta a cuore che quell’albero, nemmeno tanto bello, sopravviva? Forse il pensiero che quando arrivò in America Cristoforo Colombo El Palo stava già lì da quasi seicento anni? E che quando il nostro Dante scriveva la sua Commedia il gigante verde era già quasi quattro volte centenario?
Allora, forse, non è soltanto per la possanza di una manifestazione della natura ma per la reverenza davanti ad un vecchio, che, come un essere umano, ne ha viste e subite di tutti i colori – tempeste, parassiti, smog, vandalismi – ed è pazientemente sopravvissuto, dandoci l’esempio di un ostinato attaccamento alla vita. Che è un insegnamento per tutti.
Sono stata troppo melensa? Forse sì. Se volete, dite la vostra: perché vi coinvolge – se vi coinvolge – la sorte di questo grande vecchio?
Intanto, sul Corriere del 18 settembre leggo che il Sequoia National Park con le sue sequoie millenarie è minacciato da due enormi focolai, causati da una scarica di fulmini. Rangers e pompieri cercano di proteggere l’enorme patrimonio arboreo, ripulendo il sottobosco, rimuovendo i materiali combustibili e avvolgendo le basi dei tronchi, almeno degli esemplari più imponenti, con coperte antincendio in alluminio. Come hanno fatto, con un gesto quasi di affettuosa protezione, con il General Sherman Tree, non la sequoia più alta del mondo (anche se con i suoi 83 metri fa la sua figura) ma la più larga (11 metri di diametro e 31 di circonferenza alla base).
Marina M.
Cara Marina durante le camminate capita spesso di vedere degli alberi maestosi e secolari. In particolare certe querce che si possono ammirare lungo molte strade di campagna sembrano dei veri e propri monumenti di bellezza e longevità. Devo confessare che stupefatto da queste creature a volte mi viene di salutarle. Testimoni mute di chissà quanti avvenimenti, stanno lì a dimostrarci la nostra limitatezza.