numero 7 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – febbraio 2020
La bevanda più amata dagli italiani proviene da una pianta africana dall’altezza imponente, di cui esistono circa 80 varietà: è la pianta del caffè, oggi coltivata in molti Paesi della fascia tropicale, dopo la sua grande diffusione a partire dal XV secolo. Ma qual è il suo aspetto e da dove si ricava la polvere dall’aroma intenso e gradevole?
La pianta del caffè (genere Coffea) è un arbusto sempreverde appartenente alla famiglia delle Rubiacee, originaria dell’Africa orientale, più precisamente dell’Etiopia. Il suo habitat ideale è compreso tra il Tropico del Cancro e il Tropico del Capricorno, cioè le regioni tropicali di Asia, Africa e America dove ci sono terreni ricchi di humus, azoto e potassio che assicurano una temperatura tra i 17° e i 30°C e precipitazioni annue comprese tra i 1.200 e i 2.000 ml.
Le foglie hanno un colore verde scuro, brillante e intenso, con il bordo lievemente ondulato e la superficie lucida e carnosa; può raggiungere anche i dodici metri di altezza in natura, mentre nelle piantagioni questi arbusti vengono potati e non superano i tre metri. I frutti della pianta sono simili a ciliegie, la fioritura avviene più volte nel corso dell’anno, dopo ogni pioggia; i piccoli fiori bianchi lasciano posto in pochi giorni ai frutti, che variano dal verde al rosso a seconda del grado di maturazione. Il passaggio da fiore al frutto richiede circa 9 mesi, per questo è frequente trovare sulla stessa pianta dei frutti con un diverso grado di maturazione, a seconda delle piogge e questa alternanza contribuisce alla bellezza della pianta. Alle nostre latitudini, la pianta del caffè può essere coltivata soltanto a scopi ornamentali e raggiunge un’altezza massima di 2 metri, ma nel suo habitat naturale questo arbusto produce frutti e semi, che poi diventano la polvere scura e profumata dalla quale si estrae la bevanda.
Nelle piantagioni di media e grande dimensione per prima cosa, si procede alla semina dei chicchi selezionati; per il primo anno le piante vengono tenute all’interno di serre (o vivai), poi sono trasferite. Le piante vengono, successivamente, concimate per garantirne la crescita ottimale e potate adeguatamente perché circoli tra le foglie e i frutti una adeguata quantità d’aria.
Dopo la fioritura, che avviene con la pioggia, sulla pianta cominciano a crescere i frutti che saranno raccolti al momento giusto della maturazione e, successivamente, essiccati per ottenere i semi. Occorre massima attenzione nel selezionare i chicchi, infatti se sono ancora acerbi rischiano di dare un gusto finale piatto e astringente alla bevanda, mentre nel caso di eccessiva maturazione si corre il rischio di ottenere un caffè dal gusto rancido e altrettanto sgradevole.
La raccolta a mano conosciuta come picking è la soluzione che permette di selezionare i frutti uno per uno, lasciando sulla pianta quelli non ancora pronti. Con questo metodo si ottiene certamente un prodotto di grande qualità, ma il costo sarà maggiore poiché richiede più manodopera. Un operaio specializzato, a seconda delle caratteristiche della piantagione, può arrivare a raccogliere 120 kg di drupe al giorno. Lo stripping manuale è invece una tecnica di raccolta in cui tutti i frutti vengono rimossi dalla pianta, a prescindere dal loro grado di maturazione: le drupe vengono infatti selezionate soltanto in un momento successivo, a mano oppure grazie alla flottazione, che consiste nell’immersione in una vasca d’acqua per eliminare le ciliegie secche o troppo mature. Nelle grandi piantagioni, però, per effettuare la raccolta si utilizzano mezzi meccanici: più precisamente, dei grandi macchinari su ruote adatti a terreni pianeggianti.
Il ciclo di fioritura, di fruttificazione delle ciliege di caffè color rosso-vermiglio e della loro raccolta, sono tutte operazioni svolte nelle aziende dei paesi produttori. L’estrazione dei semi si effettua o col procedimento a secco, che prevede la raccolta dei frutti, la loro essiccazione nel patio, la frantumazione e pulizia; o a bagno nell’acqua (metodo lavato), attraverso la depolpazione a macchina dei frutti, il bagno nell’acqua dei semi che agevola l’ulteriore pulitura ed una breve fase di fermentazione, ed infine l’asciugatura o essiccamento all’aperto, al sole. Il caffè lavato, ottenuto per via umida, è di qualità superiore, più pregiato e potenzialmente più ricco di aromi sviluppatisi nella fase di tostatura. I chicchi vengono poi selezionati, separati e classificati per grandezza, colore, qualità, presenza di difetti. La prima degustazione è un momento importante: avviene nel paese di produzione e serve a determinare la qualità e il prezzo del prodotto. A questo punto il caffè “crudo” o “verde” è pronto per l’esportazione. I chicchi ottenuti, che non devono contenere un’umidità superiore al 12%, vengono imballati in sacchi di juta generalmente da 60 chili l’uno, caricati e trasportati tramite le navi verso tutti i paesi importatori, perché oggi si beve il caffè ovunque.
Le principali varietà sono quella arabica e quella robusta, anche se nel mondo esistono circa80 varietà diverse di Coffea. La prima è considerata la più pregiata anche se la pianta è più delicata e soffre particolarmente se le condizioni climatiche non sono ideali. I semi di Coffea arabica hanno un contenuto di caffeina molto inferiore a quelli delle altre specie di larga diffusione e rispetto alle altre specie è autoimpollinante, cioè autogama e inoltre predilige coltivazioni ad alta quota (tra 1.000 e 2.000 metri). La varietà robusta, invece, scoperta più di recente rispetto all’arabica, prospera in territori più a bassa quota, e ha il vantaggio della grande adattabilità e resistenza sia ai parassiti che al tempo incostante. È una pianta allogama, quindi richiede impollinazioni incrociate che la possono differenziare geneticamente con più facilità rispetto alla arabica. Secondo Artusi, così come diverse qualità di carne fanno il brodo migliore, da diverse qualità di caffè, tostate separatamente, si ottiene un aroma più grato. Per Artusi, la miscela ideale dovrebbe essere composta da 250 g di Porto Rico, 100 di Santo Domingo e 150 di Moka. Il caffè più pregiato del mondo, il Kopi Luwak, si produce in Indonesia. La produzione è dell’ordine dei 50 kg l’anno e costa all’incirca 500 € al kg. La particolarità del Kopi Luwak risiede nel fatto che si tratta di chicchi di caffè mangiati e digeriti dallo zibetto delle palme (luwak), raccolti poi a mano e tostati normalmente.
E l’etimologia? Eccola: dall’arabo qahwa bevanda stimolante. La parola “coffee” entrò nella lingua inglese nel 1582 tramite il “koffie” della lingua olandese, preso a sua volta in prestito dal “kahve” della lingua turca ottomana, derivante dal “qahwah” della lingua araba. La parola araba “qahwah” si riferiva originariamente a un tipo di vino, la cui etimologia viene proposta dalla lessicografia come una derivazione del verbo “qahā” (قها, “mancanza di fame”) in riferimento alla reputazione anoressizzante della bevanda. La parola “qahwah” è a volte un’alternativa del “quwwa” arabo (“potenza, energia”) o di “Kaffa”, il reame medioevale etiopico da dove l’arbusto è stato esportato fino in Arabia. Queste etimologie per “qahwah” sono state in ogni caso tutte variamente contestate. Dal termine qahwa si passò alla parola turca kahve attraverso un progressivo restringimento di significato, parola riportata in italiano con caffè. Questa derivazione è contestata da quanti sostengono che il termine caffè derivi dal nome della regione in cui questa pianta era maggiormente diffusa allo stato spontaneo, Caffa, nell’Etiopia sud-occidentale.
Leggenda sulla scoperta
Fino al XIX secolo non era certo quale fosse il luogo di origine della pianta del caffè e, oltre all’Etiopia, si ipotizzava la Persia e lo Yemen. Pellegrino Artusi, nel suo celebre manuale La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, sostiene che il miglior caffè sia quello di Mokha (città nello Yemen), e che questo sarebbe l’indizio per individuarne il luogo d’origine.
Esistono molte leggende sull’origine del caffè. La più conosciuta parla di un pastore chiamato Kaldi che portava a pascolare le capre in Etiopia. Un giorno queste incontrando una pianta di caffè cominciarono a mangiarne le bacche e a masticarne le foglie. Arrivata la notte, le capre, anziché dormire, si misero a vagabondare con energia e vivacità mai espressa fino ad allora. Vedendo questo, il pastore ne individuò la ragione e abbrustolì i semi della pianta come quelli mangiati dal suo gregge, poi li macinò e ne fece un’infusione, ottenendo il caffè. Questa è la leggenda che mi raccontava mia madre e mia nonna aggiungeva “Binidiciutu chi inventò ‘u cafè”, benedetto che ha inventato il caffè. Ecco da chi dipende la mia dipendenza da caffè.
Un’altra leggenda ha come protagonista il profeta Maometto il quale, sentendosi male, ebbe un giorno la visione dell’Arcangelo Gabriele che gli offriva una pozione nera (come la Sacra Pietra della Mecca) creata da Allah, che gli permise di riprendersi e tornare in forze. Esiste anche una leggenda che narra di un incendio in Etiopia di piante selvatiche di caffè che diffuse nell’aria il suo fumo per chilometri e chilometri di distanza.
L’apprezzamento del caffè non fu cosa immediata, anzi. In tanti dubitarono delle sue qualità soprattutto per le provenienze pagane, tant’è che nel Quattrocento fu definita da molti la “bevanda del diavolo”. Uno tra i primi a volerne provare la veridicità fu Papa Clemente VIII, che al primo assaggio espresse la sua opinione decisa: “È così squisito che sarebbe un peccato lasciarlo bere esclusivamente agli infedeli”. Da bevanda malefica, divenne una bevanda cristiana e in gran parte grazie alla benedizione del pontefice il caffè si diffuse in Europa. Per i suoi rapporti commerciali in Vicino Oriente, Venezia fu la prima a far uso del caffè in Italia, forse fin dal XVI secolo; ma le prime botteghe del caffè furono aperte a Venezia nel 1645 e il medico e letterato Francesco Redi nel suo Bacco in Toscana già cantava: “Beverei prima il veleno/ Che un bicchier, che fosse pieno/ Dell’amaro e reo caffè”. Verso il 1650, cominciò a essere importato e consumato nel Regno Unito e si aprirono di conseguenza i primi caffè (intesi come circoli e bar e detti in inglese coffeehouse), come ad esempio quelli di Oxford e di Londra. Nel 1663 nel Regno Unito vi erano già 80 coffeehouse, cresciuti vertiginosamente fino a superare le 3.000 unità nel 1715. I caffè divennero presto luoghi di nascita e diffusione di idee liberali, e furono frequentati da letterati, politici e filosofi, diffondendone l’uso in tutta Europa. Nel 1670 aprì il primo caffè a Berlino e nel 1686 a Parigi. Nel Settecento ogni città d’Europa possedeva almeno un caffè. Le residenze nobiliari erano spesso dotate di appositi edifici destinati al consumo del caffè e della cioccolata in tazza, le kaffeehaus, ispirate a quelle dei giardini reali di Sassonia, le prime (per questo chiamate comunemente in tedesco). Il caffè incominciò a essere coltivato in larga scala nelle colonie britanniche e in quelle olandesi (in Indonesia). La Compagnia olandese delle Indie Orientali incominciò a coltivare il caffè già nell’ultimo decennio del XVII secolo, presso Giava utilizzando semi provenienti dal porto di Mocha, nello Yemen. Nel 1706 alcune piantine di caffè vennero trasferite da Giava al giardino botanico di Amsterdam; da lì, nel 1713, una pianta raggiunse la Francia. Nel 1771, in Svezia, il re Gustavo III volle verificare scientificamente se il caffè giovasse o meno alla salute. Per far ciò, si servì di due gemelli detenuti nelle carceri svedesi per omicidio. Dopo avergli commutato la pena di morte in ergastolo, impose loro la consumazione di tre tazze di caffè al giorno per uno e di tre tazze di tè l’altro. Il primo a morire però fu il gemello che fu costretto a bere tè, il quale si spense a 83 anni mentre non è nota la data di decesso dell’altro.
Già verso la fine del XVI secolo i botanici incominciarono ad analizzare le proprietà della bevanda. Dopo Rauwolf, nel 1713, il botanico francese Antoine de Jusseieu realizzò una delle più significative pubblicazioni scientifiche sull’anatomia del caffè. A coloro ai quali l’uso del caffè provoca troppo eccitamento – episodi di tachicardia sinusale, quindi cardiopalmo, oppure insonnia – viene consigliato di astenersene o di usarlo con moderazione. L’uso costante potrebbe neutralizzare gli effetti negativi del caffè su molte persone, ma potrebbe anche nuocere, essendovi dei temperamenti tanto eccitabili da non essere correggibili. Pellegrino Artusi sosteneva che l’uso del caffè dovesse essere proibito ai più giovani. Secondo il medico Paolo Mantegazza, patologo e igienista, il caffè, contrariamente a quello che comunemente si pensa, «…non favorisce in alcun modo la digestione»; tuttavia può essere fatta una distinzione: il criterio può essere riferito a coloro ai quali il caffè non provoca eccitazione particolare, mentre per coloro che sono sensibili alla bevanda, può portare la sua azione anche sul nervo pneumogastrico ed è un dato di fatto innegabile che possano digerire meglio (l’uso invalso di prendere una tazza di buon caffè dopo un lauto pranzo ne è una testimonianza, neppure troppo indiretta). Preso alla mattina a digiuno, sembrerebbe che il caffè vuoti lo stomaco dai residui di un’imperfetta digestione e lo predisponga a una colazione più appetitosa; va precisato a ogni modo che una tazzina di caffè, cioè 10 cl di caffè, e un cucchiaino di zucchero, apportano all’organismo solo 45 calorie in totale. Molti ricercatori sconsigliano il caffè decaffeinato, cioè quello contenente meno del 0,1% di caffeina, rimarcando l’uso di solvente tossico per eliminare la caffeina, del quale rimarrebbero tracce, che tuttavia per legge dovrebbero non essere sopra una soglia minima. In realtà molte aziende utilizzano dei metodi di produzione del decaffeinato che non necessitano di alcun solvente realmente tossico, e che quindi si possono considerare sicuri. Prima di mettersi in viaggio il caffè non è consigliato, se non dopo aver mangiato. Infatti è uno stimolante e facilita l’attenzione, ma favorisce anche un’ipersecrezione gastrica fastidiosa, soprattutto a stomaco vuoto. Il caffè mescolato al latte bollente (il famoso cappuccino) ha la proprietà di bloccare l’appetito ed è comunemente pensato essere un sostitutivo del pranzo anche se impropriamente. Agli acidi clorogenici presenti nel caffè sono attribuiti effetti sul metabolismo del glucosio.
Alcuni studi mostrano una riduzione del rischio di diabete di tipo 2. Sono noti derivati dell’acido clorogenico che sono antiossidanti e agenti ipoglicemici. Queste proprietà antiossidanti, preventive del diabete, sono associate in particolare al caffè verde che contiene una più alta concentrazione di questi acidi e, diversamente dal caffè tradizionale, che viene tostato, non perde tale valore nutrizionale. Il consumo di caffè è stato inoltre associato a una riduzione del rischio di insorgenza del cancro del colon-retto, del carcinoma della bocca, del carcinoma epatocellulare e del cancro alla prostata.
Caterina