numero 21 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – giugno 2022
Ho appena finito di leggere un libro magnifico, Itinerario italiano, di Corrado Alvaro. Non so se alle scuole medie, pardon, nella scuola secondaria di primo grado, esista ancora l’antologia delle letture e, se sì, mi chiedo se Corrado Alvaro sia fra gli autori contemplati. Ai miei tempi – primi anni Settanta – lo era. La mia antologia s’intitolava, fascinosamente, L’atrio delle muse, e di Corrado Alvaro ricordo un brano tratto da Gente in Aspromonte, che forse non ci fece nemmeno leggere la Professoressa Vazzana ma lessi per mio conto. Mi sono ripromessa per anni di leggere il libro di racconti nella sua interezza ma l’ho fatto solo da poco, pur avendolo acquistato da gran tempo. E, a seguire, è capitato di comprare questo Itinerario italiano, in una curiosa edizione Bompiani dagli spigoli smussati, che quasi anticipano la disposizione d’animo, accogliente e comprensiva – un recensore alla moda direbbe «empatica» – con cui Corrado Alvaro descriveva le anime dei luoghi e delle persone incontrate nei lunghi viaggi attraverso la provincia italiana. Si tratta di una raccolta di articoli giornalistici, la cui prima edizione risale al 1933. Quella descritta è ancora un’Italia contadina ma dalla lunga tradizione urbana, un’Italia dove il lavoro secolare ha plasmato il paesaggio (sette secoli per bonificare la pianura padana, settant’anni per colonizzare, adeguandosi all’orografia, la montagna del Gargano, non più feudo regio) e dove l’architettura, anche quella popolare di una casupola rupestre o di un patio amalfitano, si mostra piena di invenzioni e armonia, al punto da potersi proporre “a modello d’una moderna architettura povera di idee e pretenziosa, come è quella che ci propone stabilimenti balneari e palagi tutti del medesimo stile” (p. 333).
L’attenzione da antropologo ed etnologo alle peculiarità dei diversi caratteri regionali – risalendo ora agli etruschi ora agli illiri – si sposa con la dolente intuizione dei danni morali che l’urbanesimo e la società di massa avrebbero causato, in una sconvolgente anticipazione delle parole di Pasolini.
Dicevo dell’architettura. Credo che solo qualche architetto abbia saputo scrivere dell’uso del mattone nei borghi padani o della pietra delle città antiche, che esclude ogni traccia di verde, con l’amorevolezza di Alvaro, che descrive con identica sapienza la genovese “estetica del perpendicolare” (p. 152) e la topografia militare di Torino, perpetuata “fino a Vienna, a Potsdam, a Praga, a Riga, a Varsavia, a Pietroburgo” (p. 209), che si stupisce degli “immensi scenari” mantovani (p. 264), spropositati rispetto al piccolo potere dei Gonzaga, e sente intimamente la grandiosità della “portentosa musica del marmo” (p. 173), che tuona e rotola per le valli delle cave apuane. A Luciano B. segnalo l’articolo dedicato alla Marca, che scivola per scarti delicati dalla casa colonica al palazzo settecentesco alla Recanati leopardiana.
Raccomando caldamente la lettura di questo libro per i suoi tanti pregi, non ultimo un uso scintillante della lingua, che è epica senza scadere nella retorica e religiosamente morale senza stagnare nel conformismo. Inoltre, già il titolo che evoca itinerari di viaggio sembra fatto apposta per camminatori come noi.
Ma a voi soci di Arcoiris – i soliti tre o quattro che avete la compiacenza di leggere queste righe – , sensibili alle tematiche ambientaliste, addito anche certe riflessioni che, se si fossero trasformate in appello e avessero trovato per tempo sostenitori, e governanti attenti, non ci avrebbero fatto prendere coscienza così tardi del male che abbiamo fatto al pianeta e a noi stessi, soprattutto.
Qualche spigolatura. Pensavate che la distruzione intenzionale dei prodotti agricoli o ittici sia una bestemmia da Unione Europea? Leggete a pagina 112, dove è riportata una conversazione con pescatori dell’Argentario: «Sapete quanto pesce hanno buttato come rifiuto il giorno dell’anniversario dell’Impero? Quattrocento quintali. Avevano telegrafato a tutti i porti d’Italia: mandate pesce. Poi ne hanno seppellito quattrocento quintali. Il lavoro, potete pensare, di quanti pescatori». «Ma lo pagano». «Pagano? Vi comunicano che è invenduto, e non pagano un soldo». «C’è anche questo» disse riflessivamente il signor Loffredo. «Ma dico, potrebbero venderlo in tempo a prezzo basso. È cibo, è nutrimento, è grazia di Dio». «È lavoro, caro signore, è lavoro,» dice il padrone de La Pace «Ma andatelo a dire un po’ a loro».
E pensavate forse che l’uso del mare come immensa, infinita discarica sia uno scandalo solo dal secondo dopoguerra in poi? Dallo stesso brano sui pescatori: «Figuratevi,» mi disse il capopesca Sabatino, «che l’altro giorno, quando voi dovevate venire con noi, tirammo su le reti con un gran peso. Erano blocchi di asfalto di qualche nave che s’era disfatta del carico, nella tempesta […]» (p. 121).
E, ancora, pensavate che lo sfruttamento selvaggio e ottuso delle risorse ittiche sia esclusivo autolesionismo degli ultimi trent’anni? Leggete qui, sempre dal testo sui pescatori, che cosa dicono gli antagonisti pescatori del Giglio a proposito di quelli dell’Argentario: «Bravi pescatori,» dicevano, «bravi, ma hanno il motore, hanno la rete con gli argani, e poi hanno il caffè alla mattina. Altro che caffè, noi: quando si andava verso la costa della Sicilia, e sulle coste inospitali della Calabria; la galletta e una sarda salata era la nostra razione, al tempo della pesca a vela. Quelli sono signori. Spazzano il mare con le lunghe reti, e tra poco non ci sarà più pesce. Dovranno andare sempre più lontano. Uno di questi motopescherecci, recentemente, fece una retata di naselli piccoli come un dito mignolo; tutti pesciolini cui non si dà il tempo di crescere». «Ma,» dissi io, «smuovendo il fondo del mare, queste reti rivangano il nutrimento dei pesci, come chi per seminare rivolta la terra. E allora i pesci trovano cibo più facilmente». «Anche questa è una teoria,» disse filosoficamente un marinaio d’una tartana […] (p. 135).
Corrado Alvaro, Itinerario italiano, Milano, Bompiani, 2014, pp. 380. Per trovarlo nella biblioteca più prossima: https://opac.sbn.it/.
Marina M.
Grazie Marina. Per gli appassionati di Alvaro, come Marina, consiglio ‘Paura sul mondo’ del 1937, titolato dalla censura fascista ‘ L’uomo è forte ‘. La risposta italiana a 1984 di Orwell, ma Alvaro scrisse questa tremenda distopia 10 anni prima! A mio parere, migliore di Orwell nel descrivere una società controllata anche nell’intimo delle coscienze.
Grazie mille Marina! Peccato che al momento non sia su Kindle, i libri non sappiamo più dove metterli 🙂