numero 19 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – febbraio 2022
Quante ne ha combinate il ‘68! Quella fu una stagione di cambiamenti sociali e culturali profondissimi. In quegli anni cambiarono i rapporti di forza nelle famiglie, nelle scuole, sui posti di lavoro. Si affermarono nuovi filoni musicali e si apriva una fase di grandi trasformazioni economiche. Insomma, quei mesi segnarono una vera e propria rivoluzione mondiale e in questo tumultuoso cambiamento pare si infransero i sogni di gloria dei produttori dei copricapi.
Ebbene sì, negli anni ‘60 la crisi dell’industria dei cappelli si fece nera, nerissima. Qualcuno afferma che i problemi per questo accessorio, così caro ai nostri nonni, fossero iniziati qualche decennio prima e datava dalla fine della seconda guerra mondiale. L’obbligatorietà del copricapo per milioni di soldati, fece sì che, al termine del conflitto, il cappello venne associato ad un’esperienza che tutti volevano lasciarsi alle spalle. Altri, invece, vedono una stretta connessione tra l’abbandono del copricapo e la diffusione di massa dell’automobile: le prime vetture coperte, molto più protette dei cavalli e delle carrozze, erano troppo basse e anguste per accogliere anche i borsalino o i panama.
Saranno motivazioni forse un po’ fantasiose, ma i cappelli, comunque, quasi scomparvero.
Poi, pian pianino, il nostro accessorio si riaffaccia e anzi, magari sotto forma di cappellino da baseball, e calzato all’incontrario, diventa un segno distintivo di ribellione e protesta.
Insomma, per fortuna, almeno di quelli che non hanno folte chiome e che immiseriscono i barbieri, il copricapo ritorna “di moda”. Non è un caso che anche i grandi magazzini popolari, almeno un cantuccio, lo dedicano al cappellino con la visiera, alla cuffia di lana o perfino al basco.
In effetti quando i capelli si fanno radi indossare il cappellino è un’abitudine necessaria, ma in montagna tutti lo devono avere con sé.
Guai a dimenticarlo! Se capita una giornata di solleone e un sentiero lungo una cresta spoglia o su una valletta senza alberi, coprire il capo è vera salvezza. Se poi c’è necessità di rinfrescarsi un po’, e magari si incontra un fontanile, immergere il berretto nell’acqua e calzarlo significa farsi un piccolo grande regalo.
Se invece fa freddo la testa va coperta altrimenti si ghiacciano anche i pensieri. In montagna, e non solo, è meglio non permetterlo.
Luciano B.