newsletter: Taccuino di viaggio

Al monastero di Santa Chelidonia e alla Morra Ferogna


numero 24 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk –dicembre 2022


Ormai ci siamo appassionati alla zona sublacense. E così, stavolta rigorosamente di giorno feriale per sfuggire ai temuti assembramenti cui le persone non si sottraggono nemmeno in montagna , ritorniamo verso Subiaco. È il 10 novembre 2020, in piena seconda ondata di pandemia. L’estate di San Martino, o, come ora usa dire, l’estate indiana ci regala una giornata magnifica: il sole, la temperatura sui venti gradi e la tavolozza autunnale ci consolano, come direbbe Diodato, e distraggono per qualche ora dalla cupezza metropolitana.

Ancora una volta, appena prima di entrare a Subiaco prendiamo la provinciale 40a e al bivio per Monte Livata giriamo invece a sinistra per Cervara di Roma e Vignola. Appena prima del cartello che indica il centro (il centrino!) abitato di Vignola bisogna fare molta attenzione per vedere delle piccole tabelle di legno sulla destra, che indicano Contrada Rosa Fontana e Santa Chelidonia. Noi le abbiamo lisciate perché mi ero fidata delle indicazioni di un trekker blogger che diceva che la deviazione si trovava immediatamente prima del km. 9,300 (cioè, ormai nel territorio di Cervara capoluogo) mentre si tratta del km. 3,900, come abbiamo scoperto tornando indietro! Raccomando di ignorare la scritta “strada privata”, forse messa dai residenti per dissuadere i pellegrini della domenica che immagino salgano alla cappella dedicata alla Santa. La strada è bella appesa, si consigliano buoni freni per la discesa! Ad un certo punto della salita prendete a sinistra per Contrada Iegli (c’è un cartello che indica un allevamento di cavalli selezionati) e proseguite fino ad una curva, dove un ben visibile cartello reca la scritta “Inizio sentiero”. Lì si può parcheggiare (la curva è ampia) e intraprendere subito a destra il sentiero 671b, che abbandona ben presto l’asfalto per inoltrarsi nel bosco, privo della solennità delle faggete di Livata ma con la bellezza meticcia della selva mista, tanto più apprezzabile in questa stagione per i colori diversi che assumono le varie essenze: castagni, cerri, giovani pini e cipressi, oltre ad arbusti di ogni tipo. Raccolgo anche un mazzetto di quello che mi sembra origano, anche se sarebbe un po’ tardivo: ce n’è tanto, è profumatissimo, per il momento lo raccolgo per appenderlo a seccare sul balcone, poi si vedrà. E ci sono tantissime piante di asparagi selvatici su questo itinerario tutto esposto al sole: per noi raccoglitori sarà un obbligo tornare in primavera. La salita procede per dolci tornanti, fino ad un bivio: a destra in due ore e venti saremmo sulla vetta di Monte Calvo, a sinistra in 15 minuti al monastero di Santa Chelidonia. Ci diciamo che a Monte Calvo ci andremo un’altra volta, e ci buttiamo a sinistra, con la benedizione di Totò. In breve siamo ai ruderi del monastero, sovrastati dalla spelonca già abitata dalla Santa ed affacciati sulla valle attraverso un arco maestoso. Una cappellina scavata nella roccia e recentemente restaurata ancora conserva un antico affresco raffigurante Cristo in una mandorla; un quaderno sul tavolo con le firme dei visitatori conferma la devozione ancora attuale per la Santa, prima eremita donna (così ho letto da qualche parte) e patrona di Subiaco, la quale si mosse dalla natìa Cicoli, richiamata dal messaggio di San Benedetto, e qui visse per 59 anni, fino al 1151. Il corpo, traslato al monastero di Santa Scolastica, vi rimase fino al 1160, quando fu ricondotto al “suo luogo”, ove l’abate Simone istituì il primo monastero, dedicato a S. Maria Maddalena. Nei decenni successivi il monastero ricevette terreni e fu restaurato; nel 1245 fu dedicato a Santa Chelidonia. Nel 1414 fu abbandonato a causa delle scorribande della soldataglia napoletana, che costrinsero le monache a rifugiarsi entro le mura di Subiaco, e nel 1417 soppresso: da allora il sito ospitò a più riprese monaci ed eremiti di passaggio. Nel 1578 il corpo della Santa fu definitivamente riportato a Santa Scolastica; infine, nel 1695 Chelidonia fu nominata protettrice di Subiaco.

Sullo speco incombe un’imponente roccia rossastra, con una terrazza naturale utilizzata per barbecue, malgrado i divieti di accendere fuochi.

Ritorniamo indietro e prendiamo la direzione della Morra Ferogna, uno sperone roccioso, luogo di culto del popolo equo, che vi venerava la dea Feronia, divinità dei boschi e delle fonti. Attualmente sia il camminamento artificiale che conduceva alla grotta che la grotta stessa sono in parte franati. Noi, in verità, notato che il sentiero sul lato ovest si inselvatichisce, nemmeno proviamo a salire sulla vetta fino alla croce e ci accontentiamo di aver raggiunto la base della roccia. Diversamente dalla Santa, di cui si narra che abitualmente salisse sulla Morra, accompagnandosi col suo bastone, per ascoltare la Messa celebrata dal Papa in San Giovanni al Laterano: embè? era una santa o no?

A questo punto è quasi mezzogiorno e, in alternativa al prendere il sentiero per Monte Calvo – che era una possibile espansione dell’escursione – decidiamo di abbinare al trekking la visita di qualcuno dei paesini circostanti. Perciò, torniamo a valle e prendiamo la via del ritorno, sempre attenti ai molti autovelox. Ci ispira la tabella del bivio per Canterano e Rocca Canterano, alla nostra sinistra; oltrepassiamo l’Aniene e la strada s’inerpica dolcemente verso Canterano, paesino di quelli che si autodefiniscono “borghi più belli d’Italia”: deve aver aderito da poco all’associazione, perché la sua pagina sul sito è un po’ vuota (n.d.a.: e a dicembre 2022 risulta non funzionante). A 600 metri di altezza, con 389 abitanti, origini pelasgiche, testimoniate da resti di mura ciclopiche che intravediamo fra gli olivi, è un paesino tranquillo, pulito e silenzioso, quasi privo di negozi (chiuso da anni un forno artigianale su cui facevo affidamento nella mia caccia solita ai biscottini paesani). Marciapiedi e illuminazione pubblica rifatti, vicoli che divengono gradinate, piazzette a terrazza probabilmente ricavate, qui come altrove nel centrosud, dall’abbattimento di vecchie case abbandonate, e arredate con panchine. Ora di pranzo, incontriamo solo un giovane che esce dalla piccola sede del Comune, agitando carte e parlando al telefonino, un signore straniero con le borse della spesa, fermo a riposarsi vicino al monumento ai caduti in piazza Roma e che ci saluta prima di affrontare i gradini in salita, una signora anziana con le bollette in mano che fa la fila, al sole, davanti al minuscolo ufficio postale. Gironzoliamo per un po’, facciamo qualche foto e saliamo a Rocca Canterano, che non è “borgo più bello d’Italia” ma forse aspira a diventarlo. E, direi, con fondamento: 745 metri di altezza, 189 abitanti, sdraiato al sole su una propaggine dei Monti Ruffi, è tutto un susseguirsi di vicoletti, gradinate, piazzette e fontanelle, il tutto tenuto molto bene (ci sono finanche dei portacenere di metallo appesi ai muri) e con la collaborazione dei residenti, che mostrano molta cura nella manutenzione delle loro case, con intonaci e infissi ben tenuti, fioriere, tendine. Il tutto, però, senza quell’aspetto “leccato” e fasullo che hanno assunto, purtroppo, certi borghi umbri o toscani. Non mancano angoli, invece, di pittoresco abbandono, come una casa, che ho fotografato, dagli infissi cadenti, presidiata da un fiero gattino. E poi, la sorpresa più bella, la Piazza di Corte, un tranquillo salotto a cielo aperto, tutto cinto da edifici, fra i quali primeggia Palazzo Moretti, costruito alla metà del Settecento a ridosso della torre del sec. XI, incorporando le mura medievali.

Per il pranzo cerchiamo un luogo assolato e ne troviamo uno incantevole uscendo dal paese: un parco giochi recentemente rinnovato, in una giovane pinetina che riveste una collinetta. Inutile dire che è deserto; non resisto e mi lancio sull’altalena: è grande e alta da terra, non di quelle per i bimbi piccoli, perciò non ho rimorsi: mi reggerà! Beh, erano almeno cinquant’anni che non salivo su un’altalena, la cosa che, assieme alla bicicletta, più di tutte mi dà il senso della libertà e dello stare nell’aria e nel vento: è un’emozione bella, che protraggo per un po’.

Poi ci sediamo (io sullo scivolo rosso) e consumiamo i nostri prelibati paninetti con l’insalatina di mare, seguiti dai dolcetti alle mandorle del nostro mercato Laurentino e dall’immancabile caffettino.

Ai piedi della collinetta il monumento ai caduti, compresi quelli delle guerre coloniali: non smetterò mai di sorprendermi di quanto sia alto il contributo in vite umane dato alle orribili carneficine da ogni piccolissimo paese.

Ci ripromettiamo di tornare, anche per visitare la frazione di Rocca di Mezzo, abbinandoci qualche trekk, qui sui Monti Ruffi.

Andando via noto un vecchio manifesto della sagra del cornuto: se non ci fosse questa maledetta pandemia domani (o, al più, il prossimo weekend) ci sarebbe la festa di San Martino, col corteo burlesco, i fagioli con le cotiche, gli arrosticini, le castagne, i cecamariti. Facciamo l’anno prossimo?

[ancora non ci siamo tornati; se ci andate prima di noi non dovreste incontrare difficoltà stradali perché la frana che aveva isolato il paese di Canterano a gennaio 2021 è stata risolta nel luglio successivo con un by-pass ad opera del Genio Pionieri, in accordo con Roma Città Metropolitana].

Marina M.

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