numero 11 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – ottobre 2020
Se vi capita di gironzolare per il Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni, vi segnalo un’escursione semplice semplice, breve breve, talmente poco faticosa che noi l’abbiamo fatta in un giorno dell’agosto 2019, a mezzogiorno, con temperatura sui 30 gradi e più. Del Cilento conoscerete senz’altro la costa magnifica, del Vallo di Diano almeno la Certosa di Padula e le Grotte di Pertosa, degli Alburni – le Dolomiti del Sud, note anche a Virgilio – avrete almeno scorso il profilo ardito passando sulla Salerno-Reggio Calabria all’altezza di Sicignano. Ma forse non avete mai fatto una gita nel Cilento interno e men che meno nel territorio montano di confine fra il versante valdianese e quello cilentano. L’escursione che vi suggerisco è proprio in questa zona di passaggio, dove le faggete cedono il passo ad una vegetazione più rada e mista.
La carrozzabile è la dorsale degli Alburni (strada provinciale 247), che collega i paesi di Petina (al ritorno fermatevi al bar del Municipio per un imperdibile gelato alle fragoline!) e Sant’Angelo a Fasanella. Sia che proveniate da Sant’Angelo, che è nel Cilento interno, sia che veniate da Petina (che ha la propria uscita sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria), consiglio di percorrere tutta la dorsale: è una strada un po’ stretta (ma sono presenti molte piazzole per farsi di lato in caso di incontro con mezzi procedenti in senso opposto) e a tratti dissestata ma bellissima. Se salite dalla parte di Petina (l’accesso è dalla piazza principale del paese), intraprenderete una salita che costeggia dapprima delle case, poi il cimitero (qui, se è stagione, segnalo rovi di more dolcissime sulla sinistra) e poi ascende attraverso un bosco di castagni (alcuni, purtroppo, con ancora i segni della malattia provocata dal perfido parassita cinese), cui subentra più in alto una faggeta magnifica. Man mano che si procede si incontrano piccole mandrie al pascolo e aree attrezzate con panche e barbecue di pietra (qui a Ferragosto è un pienone di gitanti che si muovono fin da Salerno!), per cui alla breve escursione potete abbinare anche un picnic come si deve. Oltrepasserete una radura, dove si trova il Casone Aresta, rifugio che ospita un osservatorio amatoriale (che noi abbiamo sempre trovato chiuso e privo di informazioni su eventuali aperture), e salendo e scendendo arriverete alla località di Costa Palomba, dove c’è l’ennesima area picnic (noi ci abbiamo incontrato una famiglia salernitana che non si sognava proprio di mettersi a scarpinare, tutta intenta com’era a preparare il fornello per cuocere la pasta e la brace per arrostire le spighe, come qui si chiamano le pannocchie di granturco). La zona gravita nel territorio del comune di Sant’Angelo e se salite in macchina da questo versante il tragitto per raggiungere l’attacco del sentiero è molto più breve. Da Costa Palomba, dunque, parte il semplice sentiero, ben evidenziato con la segnaletica del Cai, che in mezz’ora scarsa conduce alla vetta della collina, inizialmente passando nel bosco e nell’ultimo tratto proseguendo allo scoperto attraverso gradini di pietra.
Arrivando in cima (mt. 1225), dunque, senza particolare affanno, inizialmente non si nota nulla ma girando attorno al gruppo di massi più elevati ecco l’Antece. Un rilievo che ritrae una figura umana in piedi, a grandezza naturale, con una corta tunica, le braccia aperte e il volto non più leggibile per l’erosione del tempo. Gli studiosi lo datano ad un’epoca fra il IV e il II secolo a. C. e ne indicano come autori i Lucani, popolo che viveva anche in queste zone estreme dell’attuale provincia di Salerno. Sulla finalità della scultura c’è dibattito: forse un monumento funebre ad un guerriero (gli studiosi riescono anche a vedere una lancia tenuta in mano, uno scudo ai piedi della figura ed una spada pendente dalla cintola), forse un’opera votiva per una qualche divinità (vicina c’è anche una vasca rituale scavata nella roccia). Quel che rimane oscuro è che cosa facesse qui sopra un gruppo umano (ci sono resti anche di mura poligonali) e l’ipotesi più accettabile è che si trattasse di pastori che vi si rifugiavano durante gli scontri con i greci di Poseidonia (la futura Paestum romana), che i lucani sottomisero due volte e con i quali alla fine si integrarono. Certo, a confrontare la scultura con i coevi capolavori di Posidonia l’Antece è poca cosa ma la meraviglia di trovare un manufatto così antico quassù rimane comunque. Quanto al nome, forse è solo una corruzione dell’aggettivo “antico”; qualche studioso più arditamente lo ha ricondotto alla presenza etrusca nella zona e al culto della dea Antha. A me piace il familiare nomignolo datogli dai cilentani: ”u moccio”.
Quanto a ciò che raffigura, vi assicuro che noi – sarà stato il caldo, sarà stata la luce forte – non ci abbiamo visto un guerriero o una divinità ma, stante l’assenza del volto, ci è sembrata una figura di spalle, con le braccia aperte, le gambe ben piantate, le mani aggrappate alla roccia. Insomma, un trekker nell’atto di affrontare un difficile passaggio di roccia. Magari proprio una divinità primitiva che, scalzata dai più raffinati dèi greci, ha voltato le spalle ai suoi devoti e si è data all’escursionismo. Guardare la foto per credere.
Marina M.
Ebbene sì, cara Marina, l’ultima ipotesi è quella che più mi piace: la divinità che si è data all’escursionismo. Nulla di scientifico, niente lunghi studi storici o archeologici, ma a noi camminatori cosa importa?
Caterina