numero 3 – Newsletter della Associazione Arcoiris – giugno 2019
1° maggio 2019. Appuntamento alle 7,15 alla fermata della metro Policlinico. Partenza alla volta dei Monti Sibillini. Salaria. Attraversamento dei paesi terremotati. Accumuli, Arquata del Tronto, Capodacqua. Montegallo ai piedi del Vettore è il paese nel cui campeggio alloggeremo. Tutt’intorno montagne innevate, tenere foglie sugli alberi e fiorire di primule, orchidee viola e gialle, genzianelle, non ti scordar di me, alberi con fiori come le acacie, i maggio ciondoli… Gli odori ti vengono incontro e poi ti seguono affidandoti al suono dell’acqua, ai richiami amorosi degli uccelli, allo scricchiolio dei sassi sotto gli scarponi… Il paese apparentemente sta in piedi ma si è salvato dal terremoto del 2016 solo un piccolissimo gruppo di case/seconde case quindi non abitate in questa stagione se non in parte. Tante passeggiate in paesaggi molto diversi fra di loro in un piccolo raggio d’azione; un po’ di pioggia che rende fangoso e scivoloso il nostro percorso ma non impedisce di raggiungere i posti prefissati. Il quarto giorno mi viene affidato il compito di fare da guida a Piero, il nostro accompagnatore non vedente. È la prima volta che mi trovo così vicina a Piero che ho visto sempre in città sottobraccio alla sua compagna Antonella. Il Piero montanaro mi manca anche se so che pratica lo sci, partecipa spesso alle escursioni della sua associazione Sentiero verde anche come collaboratore, ama la montagna e il trekking che cerca di praticare appena può. Non voglio sottrarmi perché sono incuriosita dalla possibilità di fare una nuova esperienza ma non so proprio come fare: andare piano, veloce, avvertire, descrivere il percorso… Piero è “legato” a me attraverso un bastoncino, io tengo la punta e lui il manico quindi distiamo un metro l’una dall’altro. So che Piero avverte la mia tensione e per apparire disinvolta gli do un sacco di notizie sul percorso, quando cambio direzione lo avverto come anche se c’è una salita o una discesa, se camminiamo su un passaggio stretto. Lui non vede, sono io “i suoi occhi”. Dietro di me lui è tranquillo, segue, non parla, mi lascia fare e dire. Sulla strada asfaltata divento disinvolta. Corriamo tenendoci per mano e cominciando a rilassarmi comprendo gli errori compiuti.
Il giorno dopo sono di nuovo guida e capisco come fare. “Piero oggi non dirò niente, camminerò solo”. “Bene è quello che devi fare” mi risponde. Per lunghi tratti stiamo in silenzio: Piero può percepire il terreno sotto i piedi con il rumore dei sassi, può ritrovare le sue mappe mentali che ha costruito durante le sue scorribande infantili e rinforzato in tutti gli anni di frequentazione di questi luoghi. “Piero c’è una biforcazione, dove andiamo?” “A destra e fra un po’ sulla destra ci sarà anche un grande castagno…”. Fare da guida significa essere i suoi occhi e non le sue parole: gli occhi vedono, trasmettono al cervello, il corpo si muove, le gambe camminano. Il bastoncino che ci unisce trasmette le mie intenzioni, la velocità, la frenata, la pendenza, l’ansia e anche la paura. I miei occhi vedono solo, mentre come dice Piero, lui riesce ad osservare utilizzando tutti i sensi, percependo i cambiamenti, attingendo al suo patrimonio infantile. Che dire? Per molto tempo ho usato il verbo osservare sostanzialmente come declinazione del vedere. Piero osserva anche senza vedere. Ho compreso appieno la supremazia dei gesti rispetto alle parole nelle relazioni; ho rafforzato la convinzione dell’importanza degli anni della scuola primaria e delle esperienze percettive nella formazione della conoscenza, nello sviluppo della consapevolezza del proprio corpo e dell’equilibrio psico-fisico; ho rivisitato i giochi psicomotori in coppia che proponevo ai miei alunni in cui uno dei due a turno guidava l’altro; ho guardato con occhi diversi il paesaggio e misurato la forza del mio corpo attraverso quella di Piero.
Antonietta