numero 24 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk –dicembre 2022
È l’uscita di scuola del Liceo classico Albertelli. Studente della III D, sono fuori del portone, ho fatto le scale di corsa e adesso sono lì che aspetto la ragazza all’uscita. Lei, la ragazza, l’ho notata qualche giorno fa all’ora di ricreazione che spuntava dall’aula della I B; capigliatura alla maschietta fra il biondo e il castano, una voce argentina la sua, un tipo snello e un aspetto gioioso, che mi aveva folgorato. Adesso il suo viso mi si è stampato dentro e la voglio frequentare, conoscerla, magari rimorchiarla; la fermerò quando scenderà le scale dell’uscita. Ma per dirle cosa? Permetti che ti accompagni? O cos’altro? Lei scende e mi sembra che uno sguardo rapido e fuggevole mi investa, ma è solo un momento; e un’illusione? Avanzare di qualche passo, per salutarla, non mi viene; resto impalato; immobile. “Sono un beccamorto”, mi apostrofo; domani, però …
A passo svelto raggiungo gli altri studenti che abitano con me a Centocelle: sono diretti al tram, il tranvetto lo chiamavamo, che ci porta a Piazza dei Mirti, il cuore del quartiere, il cui marciapiede circolare è illuminato da un’enorme lampada, vanto degli abitanti … Sul tram il solito ammucchiarsi, la sigaretta accesa che passa da una mano all’altra e da una bocca all’altra, fra di noi, i soliti tre o quattro amici, tutti studenti all’Albertelli. Seguo, ma distratto, i loro discorsi e le solite battute sugli insegnanti, “quello stronzo, quella stronza”, mentre mi si staglia precisa e viva l’immagine di lei: mi dò dello stupido per non aver trovato il coraggio di fermarla; domani sarà un altro giorno; lo giuro …
Ma anche l’indomani il coraggio non mi viene, la seguo però a pochi passi di distanza, fino a che lei entra in un portone di via Bixio, non lontana dalla scuola; anche questa volta mi sembra che, prima di varcare il cancello, lei mi rivolga uno sguardo fuggevole, insieme tenero e un po’ impertinente; almeno così mi sembra. Domani, penso, parto prima delle 7 e 43, l’ora solita del tram, e l’attenderò fuori del suo portone; sarà una cosa facile fermarla, proprio così pensavo. Intanto, sia che stessi a pranzo coi miei, o che facessi i compiti, o mi vedessi con gli amici al biliardo di piazza dei Mirti, il pensiero di lei mi inchiodava; già, proprio un chiodo fisso che mi trapassava mente e cuore. Mi ritorna in mente un distico castellano: “Suspiri che trapassanu le mura / come la subbia trapana la sòla” (subbia è arnese del calzolaio).
Il giorno dopo con una scusa esco di casa una ventina di minuti prima, prendo il tram delle 7 e 23 e, sceso a fine corsa, mi dirigo a passo svelto in via Bixio e mi fermo a qualche metro dal portone, dall’altra parte della strada. Quando lei esce, io non mi muovo e mi muore in gola il “ti posso accompagnare” che mi ero preparato; lei, intanto, a passo svelto attraversa la strada, mi viene incontro e mi dice – con voce risoluta; e chiara; e sbarazzina – “che mi accompagni?”. Volevo rimorchiarla; m’aveva rimorchiato…
Gualtiero
Che tenerezza! ❤️
Il fatto è che le donne sono sempre più sveglie degli uomini. Allora perché si fanno “fregare”? Boh?
Caro Gual. leggo solo ora. Che piacere e che commozione! Grazie
Caro Gualtiero, adesso ti toccherà scrivere il seguito della storia, è meglio di una serie TV!