newsletter: Viva la curiosita

7 – Gli anni di Castel Madama (1943 – 1949). Parte Prima


numero 16 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – agosto 2021


la pulenna coi brucculitti sulla spinatora

La polenta coi broccoletti era una specialità della dieta castellana. I broccoletti abbondavano nelle campagne; ogni famiglia ne faceva un gran consumo e noi, che non avevamo campagna, ne ricevevamo tanti dai parenti. Fin dal primo mattino le famiglie contadine, uscite dai letti, si incontravano con i broccoletti: focacce di acqua e farina di granturco e broccoletti a colazione per tutti, annaffiati dal caffè d’orzo. Poi broccoletti a pranzo e poi a cena, tanto che qualcuno parlava spiritosamente di “dipendenza” (magari la parola non era ancora quella, in quegli anni).

Anche a casa nostra si mangiavano broccoletti e potevano essere il condimento della polenta; come quella volta. Ci eravamo appena seduti davanti a una polenta fumante, quando… Ecco, qua apro una parentesi, breve però. Fin da piccolo – già dalla terza elementare, che mia madre mi fece ripetere a Castel Madama, perché a Frascati l’ultimo anno di scuola era stato fatto a scappar via, diceva lei – ero diventato un’accanito lettore di libri della collana Salani e della Scala d’Oro; ero così ghiotto di trame, che con la coda dell’occhio correvo a trovare i “quando”, perché era lì che la trama faceva uno scatto in avanti, s’accendeva di lampi improvvisi.

Ma tornando a bomba – veramente alle bombe – sentimmo distintamente l’avvicinarsi delle fortezze volanti, cariche di morte. Dove le avrebbero sganciate? A Tivoli o a Guidonia? Tutti ad affacciarsi alla loggetta a scrutare il cielo, perché gli aerei presto sarebbero passati sopra di noi. Tutti no, perché io rimasi seduto attorno alla “spinatora” fumante e cominciai a trangugiar polenta.

Il ricordo di questo mio comportamento “puerile” mi ha sempre travagliato la mente con risvolti diversi e contrastanti: era marcato, il ricordo, da una fame insaziabile o da un impulso furbesco, quasi malandrino? Beh, tutte due le cose.

Il pranzo con la polenta a quel tempo era un rito. Ecco papà che non si siede con noi, che già ritagliamo i nostri grossi bocconi; lui si aggira per la cucina, per fare cosa? Per lasciare a noi il tempo di saziarci, deve riordinare gli ultimi arnesi, rimasti fuori posto; invece noi, i tre minori: io, Angelo, Enrico, quegli arnesi che erano serviti per cucinare la polenta (la frasca, la cucchiara, la tegama dove erano stati cotti i broccoletti) li avevamo accuratamente leccati e ora divoriamo la polenta. Quando mio padre finalmente si siede, per noi ormai il più è fatto!

Non so dopo quanto tempo (qualche mese?), i miei trovarono in affitto una casa spaziosa su al paese alto, in uno dei numerosi vicoli che lo caratterizzano, il vicolo Monterozzo.

All’ingresso si apriva una cucina ampia, apta nobis (giusta per noi, ma usiamola qualche parola latina, non solo quelle inglesi), da dove si entrava – da una parte – in un’ampia sala notte, dall’altra si salivano due scalini e si superava una stanzetta, poi una comoda stanza da letto, dove oltre al letto matrimoniale dei nostri genitori c’era il letto dove dormivamo Angelo e io, chi su e chi giù, un letto senza … capo né coda, una testa e due piedi da una parte, due piedi e una testa dall’altra. La stanza immetteva in un cortiletto con una finestrella, attraverso la quale comunicavamo con le sorelle di mio padre (le zie sarte Assunta e Giggia), che ogni tanto ci chiamavano per passarci piatti prelibati (fettine alla pizzaiola, melanzane alla parmigiana), ma che di solito andavano a una nostra sorella fiacca e deperita; e a noi piccoli soltanto la vista e i profumi.

Gualtiero T.

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