Resoconti

Ammazzeli, quanto magnavano

Redazione

lbaldini

Domenica 13 maggio 2007 – Rifugio Montagna Grande dal Lago di Scanno. Tra boschi di faggio e praterie di alta quota.

A Marì, incredibbile! Che non ce se poteva minimamente credere! Manco una nuvola all’orizzonte. Tant’è che noi guardavamo Bruno quasi fosse un suo assioma (o come cavolo si dice), Poi qualcuno di noi, che eravamo un bel gruzzoletto (o come cavolo si dice) si è ricordato che l’accompagnator cortese non era Bruno, ma Sandra, sa famme. In realtà era difficile pensare che era Sandra la guida, perché l’abbiamo intravista all’inizio e poi, come fa – more solita (lei veramente è più sul biondo) – s’è involata; e chi l’ha vista, l’ha vista. Idem per il ritorno.
Marì, ma un cielo terzo così terzo, che io mi chiedevo (come sempre io mi interrogo in situazioni problematiche) “ma come sarà il secondo o il primo cielo?”. E mi sfugge dove Dante – perché sarà stato certamente lui – avrà fatto questa classificazione: tu che sei sicuramente ‘na persona corta (co’ tutte quelle meill che ci mandi su incontri poetici stratosferici) lo sai che è Dante che ha parlato dei gironi e de cieli (e del primo automobile: ‘n ce sse po’ crede, ai suoi tempi!).
E così tutte a mettese le cremine sulle braccia, sulla faccia, sul collo, fino a sotto le scelle, che – ‘n ce sse po’ crede – ormai sono tutte spelate. E dire che io, da regazzino, per sentire l’odore femminino (o come avolo si dice: alla toscana, visto che m’è scappato cosi nel digitare), andavo sempre ad annusare le donne in quel punto là. Ma basta con la tergiversione e torniamo a bomba. Ti dicevo un cielo bello bello, che se chiudevi gli occhi, avresti sentito greggi belar e muggire armenti: cosa che oggi in verità è veramente “bella e impossibile”.
Si doveva salire per 900 metri: salita costante e abbastanza duretta, prima per i ciottoli che squadernavano i piedi e poi per le foglie che nascondevano i sassi, in inganno traendoci (questa immagine mi piace). Tutto bene, adunque? Manco pe’ u cazz. Perché a un certo punto Elsa (eccola colei che ci stava regalando quella giornata fiabesca) ha cominciato a sentire il cielo girarle intorno (“me sse vòta ceru” dicevano le nostre nonne, quando ancora vigeva il sistema tolemaico), sempre più spesso e più intensamente, tant’è che a un certo punto ha dovuto fermarsi ai piedi della Montagna Grande, che era la meta dell’escursione; e io con lei, visto che, come sai, io sono il suo cavalier silente (o come cavolo si dice). E così ci siamo messi a mangiare, tanto erano già le quattordici (tre ore che si camminava).
Ma a un certo punto sentiamo Nadia al cellulare, precisiamo: Elsa la sente al cellulare, perché io la sentivo distintamente in viva voce, anzi a un certo punto Nadia appare proprio sopra di noi, spuntata fuori da un dossettino. Perciò rieccomi imbracciare lo zaino (Elsa, poveretta, se l’è fatto portare da Nadia) e in un “amen” (siamo o  non siamo in clima di cristian day?) raggiungiamo il Rifugio Montagna Grande.
Che spettacolo! Avevano tirato fuori tavolo e panche e stavano letteralmente gozzovigliando (un rustichello ricotta e spinaci, formaggi, salame, pinolata calabrese, frutta, vino, ecc.), da bravi arco-eno-gastro iridici. Un particolare: l’escursione era un gemellagio con l’Arcosirente e, ammazzeli, quanto magnavano e bevevano pure loro! Abbiamo chiuso coll’amaro e col caffè (opera di Maxmiano). Ma ti rendi conto?
La discesa… Meglio non parlarne. Tutti, chi ppiù e chi ppiù, ppiù, lunedì mattina avevamo i quadricipiti incordati, che le scale (e meno male che per salire in casa non ci sono “scaloni”; almeno là) ci  facevano veder le stelle. Dimenticavo: con tutte quelle foglie, che nascondevano il suolo sottostante, abbiamo fatto un sacco di cascate. Peccato che tu non c’eri, perché qualche cascatella te la saresti fatta pure tu. Gualtiero.

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