15 aprile 2018 – Tenuta presidenziale di Castelporziano
Caro Gualtiero,
sai com’è, Caterina è assai presa dal preparare la giornata per Nadia (oggi, 19 aprile è già un anno) e Rossella combatte attivamente sul fronte di questo confuso inizio di legislatura. Così, sono io a raccontarti questa bella escursione.
Anzitutto, credo di rappresentare il sentimento di tutti nel ringraziare Caterina per l’impegno profuso nell’organizzazione: fra prenotazione, raccolta dei dati anagrafici di tutti, ritiro dei biglietti, disdette, nuove iscrizioni, cambio di percorso, dettagliate mail a noi soci, con l’aggiornamento sugli itinerari alternativi per raggiungere Malafede malgrado la Formula E, non deve essere stato facile né divertente.
Inoltre, anche qui – credo – esprimendo la sensazione di tutti, devo dire che l’organizzazione da parte della Presidenza della Repubblica è stata inappuntabile: sì, è vero, ci hanno fatto passare sotto il metal detector, ma di questi tempi è il minimo, e ci hanno contati e ricontati, in entrata e in uscita, ma la cosa ci ha ricordato le gite scolastiche ed è stato un bel ricordo. E poi, la nostra accompagnatrice dalla chioma azzurrina (i suoi studenti la chiamano professoressa Blusetta) era perfetta nel ruolo di insegnante in visita di istruzione e lei stessa ci ha contati più volte. E ci ha contati il carabiniere, e ci ha contati il forestale (ora carabiniere anch’egli), e ci ha contati la tirocinante Serena, studentessa di scienze ambientali.
Dunque, caro Gualtiero, all’appuntamento di Via Erminio Macario, traversa di Via di Malafede, siamo ben trenta e con puntualità teutonica (effetto indiretto della Presidenta Mauracher?) alle 8 esatte partiamo con l’ecobus del Cotral alla volta della tenuta presidenziale.
Apro una parente, come direbbe Totò, sulla toponomastica di questa zona che non conoscevo, tutta intitolata ad artisti, in ordine sparso, da Nora Ricci a Marcello Mastroianni, da Massimo Troisi a Domenico Modugno, compresi un parco Mia Martini e un parco Lucio Battisti. Nonché una piazza Stanlio e Ollio, scritto proprio così.
Chiusa la parente. Dunque, entriamo nella tenuta e, fatti gli adempimenti di rito nonché la prima sosta idraulica, con il bus raggiungiamo la dispensa, cioè l’edificio che funge anche da bar e ristorante, e qui la sosta di rito delle nostre uscite, con caffè e cornetto (non surgelato!)e, se del caso, seconda tappa idraulica.
Quindi, ancora con il bus (la tenuta è sconfinata, oltre seimila ettari) raggiungiamo l’inizio del nostro percorso, quello di Malafede. Per fortuna l’afa di sabato pomeriggio ha lasciato posto ad un’arietta fresca, il cielo è sempre grigio ma scampiamo la pioggia; il terreno è morbido e solo in qualche punto c’è un po’ di fango a complicare il cammino, per il resto agevolissimo (dislivello zero).
Serena ci accompagna e ci indica le specie arboree, coadiuvata da Alessandro, forestale dalla faccia buona e il ventre autorevole. Indugiamo sulle querce da sughero, che sono numerose, e più in generale sul fatto che le piante morte non vengono rimosse e il sottobosco appare un disordinato intrico di rami e radici: il motivo è favorire la rinaturalizzazione del sito, facendo sì che la pianta caduta funga da riparo e nutrimento per insetti ed animali nel suo disfarsi progressivo, ritornando alla terra.
Ci spiegano che la pineta è artificiale, impiantata per difendere la costa dai venti salmastri mentre i vari tipi di quercia (leccio, farnia, cerro e altri di cui non ricordo il nome) sono autoctoni. Una parte della tenuta è destinata all’agricoltura e all’allevamento e anche nel nostro percorso incontriamo cavalli e vacche maremmani. Qua e là casali agricoli e”piscine”, pozze d’acqua che costituiscono il residuo delle antiche paludi pontine e alle quali si abbeverano i numerosi animali selvatici. Questi non li vediamo, nemmeno da lontano, ma incontriamo le frequenti impronte di cinghiali, daini e caprioli, che Alessandro ci insegna a distinguere.
Apro un’altra parente. La tenuta ha inglobato nel 1985 la zona di Capocotta, fra Pratica di mare e il litorale, per la quale era già partito un progetto edificatorio per farne una sorta di altra Torvaianica: tracce di urbanizzazione, quali lampioni e strade asfaltate sono state mantenute a memoria del pericolo scampato.
Molto interessante la tappa alla stazione di inanellamento degli uccelli migratori, dove il toscano Sauro ci racconta il viaggio appassionante degli uccelli migratori e ci emoziona con la storiadella sterpazzolina, un niente di sette grammi di piume che fa il lunghissimo viaggio dalla Siberia al Centrafrica. Anzi, ci stupisce parlandoci di una precisa sterpazzolina, ripetutamente intercettata dalle varie stazioni ornitologiche in rete grazie al codice del suo anello alla zampina, per la quale si può attestare che in sette anni ha fatto sette (e sette) volte l’incredibile viaggio.
Per ultimi l’ornitologo, entusiasmato dall’avere ben più dei suoi due/tre abituali ascoltatori, ha lasciato quelli che egli stesso definisce “effetti speciali”: da due sacchetti di stoffa bianca estrae due uccelli catturati in mattinata, un gruccione dalla fantastica livrea bianca-gialla-azzurra-beige e una sterpazzola meno appariscente ma molto più irritata. Ad entrambi applica un anellino metallico con il codice, che riporta su un registro, e poi li visita, accertando la muscolatura, la lunghezza d’ala ed il sesso: sono due maschi, e per tutte le femmine umane presenti ciò non costituisce affatto fonte di sorpresa. Infine, Sauro libera i due prigionieri e ci spiega il funzionamento delle reti, non senza risparmiarci la battuta sull’uccello che si chiama lui grosso. Sono grata a Massimo, Peppe e Tonino, presenti in forze, per non aver fatto eco con battuta analoga sulla passera scopaiola, annoverata sul cartellone fra gli uccelli migratori a corto raggio: fu buon gusto o presbiopia?
Di nuovo in bus alla volta della villa di Iolanda di Savoia. Non ho detto ancora che Quintino Sella acquistò la tenuta dai Grazioli come riserva di caccia, destinazione che è perdurata fino al 1977 e di cui sono testimonianza anche le due teste di daino e cervo appese nella villa. A proposito dei rispettabili palchi di corna Alessandro sente di dover precisare che solo i maschi sono cornuti. Anche questa notizia non trova impreparate le femmine umane della comitiva. Nella villa è allestito un piccolo museo naturalistico al momento solo parzialmente accessibile; per noi è possibile assistere alla proiezione di un bel video sulla tenuta, curato dal Segretariato della Presidenza, che ci aiuta a rimettere in ordine quanto Serena e Alessandro ci hanno spiegato.
Ancora una parente, l’ultima. Desidero rendere testimonianza, caro Gualtiero, che il direttivo, in vista dei prossimi impegni, non ha perso tempo e ha approfittato di tutti i momenti buoni, sul bus e a terra, per riunioni estemporanee e ripetuti giri di consultazioni che nemmeno una Maria Elisabetta Alberti Casellati.
E finalmente, la navetta ci riporta alla dispensa, dove, sui tavoli della zona pic-nic, tiriamo fuori dagli zainetti il solito ben di Dio, con un occhio al cielo, sempre minaccioso, e l’altro al bel giardino all’italiana del Castello, Porziano appunto. Caffè per chi può e vuole al bar di cui sopra.
Può finire così il resoconto, secondo te, Gualtiero caro, con la risalita sul bus e il ritorno al parcheggio di scambio? Naturalmente no. Perché le guide decidono di compattare i gruppi che non sono ancora andati via su un unico bus, anticipando il nostro rientro alle 14 invece che alle 14,30. Ma qualcuno di noi aveva scelto di approfittare del ristorante, allettato dalla pappardelle al cinghiale e confidando nell’orario prestabilito…qualcuno a caso. Dirai tu: “Tonino?”. Indovinato, assieme a due fanciulle, come ai tempi antichi delle toninettes!
Così, secondo la migliore tradizione di Arcoiris, ma stavolta senza sua colpa, Tonino è ancora una volta buon ultimo.
Marina