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Fra terra e spirito

Redazione

lbaldini


4 giugno 2022 – Il sentiero degli Eremi: fra terra e spirito.


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Ci accogliamo l’un l’altro con sorrisi un po’ incerti e qualcuno alla fine lo dice: “finalmente un gruppo!!”.  Il cortile ombroso dell’Abbazia di Farfa, con il bar e i tavolini all’aperto, è sicuramente quello che gli arcoirisiani sognavano da tempo…ma non ci fermiamo tanto. Un po’ perchè temiamo il caldo che ci aspetta, un po’ perchè ci muoviamo sempre un po’ indecisi fra mascherine e distanze, farfugliando, come dice Peppe che ha già trovato la parola buffa della giornata!!

Attraversiamo un bosco di un verde inaspettato vista la poca pioggia che abbiamo avuto. E’ pieno di fiori, di cardi colorati, di maestosi cespugli di ginestra che compongono sculture intorno alle piante secche. L’aria è profumata dalle ginestre, dal timo e dai tigli. La prima cosa che incontriamo salendo sono le rovine delle mura romane, poi arriviamo alle rovine dell’Abbazia di San Martino e possiamo visitare una cripta purtroppo abbandonata come tutto il complesso. La cosa di questa cima che merita la fatica, è il panorama. A 360° gradi la Sabina è ai nostri piedi. Le sue colline, i sui borghi medievali, gli uliveti e i boschi verdi. In lontananza vette importanti: il Terminillo, il Pellecchia, il Monte Gennaro e, forse, laggiù il Monte Soratte nel suo splendido isolamento. Mentre scendiamo possiamo ammirare davanti a noi, la collina piena di colori su cui spicca il giallo delle ginestre: la dobbiamo risalire perchè sulla sua sommità si adagia Fara in Sabina, uno dei tanti gioielli di questa terra. Lì ci aspetta un altro impegno in perfetto stile arcoirisiano: il pranzo al Monastero, in un terrazzo che è un notevole belvedere sulla valle.

L’ultimo impegno della giornata è la visita al Monastero delle Clarisse Eremite, che ospita ancora alcune suore di clausura. La sua nascita si deve alla ricostruzione di un antico castello e la sua vicenda storica è legata a tre grandi famiglie romane, Odescalchi, Farnese e Barberini, che si sono occupate direttamente del suo sostegno e delle sue necessità. Con il passar del tempo si è reso necessario trovare altre forme di sostegno autonomo ed è da qui, credo, che sia nato il progetto di aprire il convento ai visitatori anche se, per fare questo, è stato necessario autorizzare ufficialmente alcune delle suore di clausura ad avere contatti con l’esterno.  La visita si svolge nei luoghi interni del Monastero. L’antica cucina, costruita nel 1400, sorprende per alcune scelte d’arredo estremamente moderne e attente alle necessità delle suore. Il vano del camino, e i fuochi intorno, sono alzati così non dovevano stare inchinate a girare i paioli, il doppio lavello, la cisterna per evitare di uscire a prender l’acqua nelle fredde giornate invernali. Ci accomodiamo nel vecchio refettorio e, poi, nel coro del 1600, mentre suor Daniela ci racconta della vita conventuale.  La cosa che mi sorprende è l’insieme di regole e comportamenti che servono a stabilire un equilibrio perfetto fra isolamento e necessità di comunicare. Mi colpiscono, invece, la scelta di vita così potente e fortemente penitenziale e la serenità con cui ne parla suor Daniela, la nostra guida.

Arriviamo al Museo del Silenzio, realizzato nel 2004, che si trasforma in una esperienza percettiva e conoscitiva molto particolare. Entriamo in questa stanza buia e intorno a noi, proprio come in un “recinto sacro” si illuminano 21 oggetti rappresentativi della vita quotidiana della prima comunità di monache dl convento. Quelle che mi hanno colpito di più sono le tavolette per comunicare. Erano nominative, come i quaderni, e contenevano le richieste quotidiane. Anche queste, già scritte, avevano un linguaggio scarno ed essenziale. Nessun avverbio, congiunzione, articolo, premessa, ringraziamento a rafforzare non solo la scelta di vivere una “beata solitudine” attraverso l’esercizio ascetico del silenzio, ma di spogliare dal superfluo, fino all’estremo, qualsiasi forma di comunicazione terrena. La visita si conclude con la stanza contenente 17 corpi di monache completamente intatti e rimasti tali dalla fine del 1700. Nessuno studio è riuscito finora a spiegare questo fatto misterioso.

La giornata si chiude così, sparpagliandoci ci salutiamo. Spero che non abbiamo perso il piacere dell’ultima bevuta di saluto…ritornerà con il tempo… (ndr: un nutrito gruppetto non ce l’ha fatta, non ha resistito, e un gelato, una birretta, un crodino, un succo e tanto altro hanno accompagnato quattro amabili chiacchiere nel chiostro dell’Abbazia di Farfa) intanto abbiamo sperimentato una cosa nuova e molto terrena……l’escursione con trattoria!!

Rossella G.

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