7 luglio 2017
Camminata fuori programma, ma anche fuori dagli schemi usuali di Arcoiris.
Eh già, questa volta al posto della solita levataccia mattutina, ci siamo visti con molta calma perché l’appuntamento era alle 21.30 del 7 luglio e, più o meno puntuali, ci siamo presentati in 16 persone (Luciano, Lucilla, di cui poi diremo, Benedetto, Peppe, Pino, Massimo, Caterina, Francesca, Roberto, Tonino, Luca con due amiche, Katharina, Silvia e Uli) a Largo Cevasco, dietro la Chiesa del Padre Misericordioso, meglio nota come Chiesa delle 3 Vele o chiesa di Meier, lo stesso architetto che ha voluto avvolgere l’Ara Pacis con questo materiale bianco, suscitando tante polemiche. “Come molte altre opere dell’architetto statunitense è cromaticamente bianca ed è composta da tre vele, la più alta delle quali raggiunge un’altezza di 26 metri. Le vele sono autoportanti, per realizzarle sono state suddivise in grandi pannelli prefabbricati a doppia curvatura, ciascuno del peso di 12 tonnellate. Successivamente, per montare e assemblare tali pannelli, è stata realizzata appositamente una sorta di gru specializzata alta 38 metri che sollevava il pannello e lo portava in posizione, all’altezza voluta. La chiesa è stata costruita con uno speciale cemento, realizzato e brevettato da Italcementi, con la straordinaria capacità di autopulirsi grazie a un effetto di fotocatalisi, il cosiddetto cemento mangiasmog” (meno male che c’è Wikipedia… per ricordare ciò che ormai la nostra mente fatica a trattenere). In realtà noi locali abbiamo verificato che il suo effetto autopulente non dura a lungo e lo smog comincia a far presa anche sulle magnifiche vele di Meier.
Con Luciano come guida e la super efficiente consorte Lucilla, come sua aiutante, nonché fornitrice di generi alimentari, per allietare la fine della serata, ci siamo addentrati tra sentieri e stradine del parco. Gambe in spalla ed orecchie attente alle letture che Luciano ha preparato per noi e che la sottoscritta ed il nostro fine dicitore Tonino sono ben lieti di offrire alla combriccola di Arcoiris.
Di cosa parliamo del parco di Tor Tre Teste o del Parco Palatucci? Lo scopriremo solo camminando e così iniziamo dalla sua storia che in realtà non è molto antica perché se, come spazio verde, grosso modo attrezzato, nasce tra gli anni Ottanta ed i Novanta, è solo dal 2003 che prende il nome di Parco Palatucci, eroe annoverato tra i Giusti di Israele, ma ben poco noto ai più in Italia. Chissà forse se gli dedicassero una fiction?…
Non solo storia, ma anche botanica ed ecco, quindi, l’albero del pepe. “Sarà utilizzabile?” si chiedono in molti. Meglio non farlo sapere ai vecchietti che usufruiscono della bellezza di questo parco di periferia: è la risposta che arriva puntuale.
Continuiamo a camminare e le torce, che ognuno aveva con sé, neanche servono molto perché, strano a dirsi, ma in alcune parti dei sentieri funziona l’illuminazione pubblica, ma soprattutto perché c’è una magnifica luna a rischiararci il cammino. Ed allora non poteva mancare “Alla luna” di Leopardi. Fra le storie che il parco racconta ci sono quelle di Luigi Petroselli (si passa davanti al Centro anziani a lui intestato) e quella di Teresa Gullace (a ridosso del parco si trova il Centro di formazione professionale che porta il suo nome); il campo da rugby, il teatro che ha visto Celestini ed altri attori romani cimentarsi in altre epoche, insieme ai grandi spazi occupati la domenica, ma soprattutto a Pasquetta ed il Primo maggio, dai romani che preferiscono la gita (ed il barbecue) al parco al posto di quella fuori porta. E d’altra parte non siamo in un quartiere fuori porta? Direi di sì ed aggiungerei che c’è sempre tanto da scoprire in queste nostre periferie tanto disastrate e bistrattate. Intanto qui abbiamo uno dei più lunghi acquedotti romani: l’Acquedotto Alessandrino, che partiva da Pantano per arrivare vicino Palazzo Madama, alle terme neroniane.
Il pezzo forte delle nostre letture ed anche l’ultima (ma alcune le abbiamo saltate) è un’intervista di un giornalista ad un gabbiano (brano tratto da Primo Levi) a due voci. Per chi non c’era: indovinate chi era il gabbiano e chi ha dato voce alle domande del giornalista?
Così lemmi, lemmi arriviamo alla fine dei 6 km della nostra passeggiata che, anziché terminare a tarallucci e vino, come da copione, finisce a birra e pop corn, anzi c’è pure l’anguria fresca, con un brindisi all’estate e tanta, tanta voglia di continuare a camminare: che si tratti di trekking montani, marini od urbani non importa, ciò che conta è il camminare ed il farlo insieme.
À la prochaine fois, ragazzi
Caterina