Domenica 27 febbraio – Monte Gennaro
Quel 27 febbraio a Monte Gennaro
A.D.MMV. Il 27 di Febbraio. Un vento gelido sui convenuti. Al largo… della primavera. Le previsioni meteo che ognuno s’era mestamente viste scorrere su internet minacciavano tempeste di neve, slavine, fulmini e saette. E, ciò nonostante, eravamo convenuti. A queste condizioni quanti potevamo essere? Non 12, non 21, non 17 (per carità!). Non potevamo essere che SETTE, come i sette samurai, i magnifici sette, le sette virtù, i sette fratelli per le sette spose, i settanta volte sette. Questo pensavo, mentre Giove fulminante mi guardava dall’alto del cielo plumbeo e sogghignava: Se tte pijo!”.
A questo punto voi fremerete: “Ma chi erano i sette?” e tacitamente (cioè alla Tacito) io vi risponderò: “ Livia naturaliter, dux et magistra nostra, Andreas etiam, et Lucianus Lucillaque, et Peppes atque Patritia; Valtarius tandem. …
Dunque, fra una sferzata e l’altra del vento, ci siamo avviati alla volta di Marcellina per arrivare a un posto che non mi ricordo mai come si chiama (ma sono soltanto quattro o cinque volte che ci vado), dove si lascia la macchina, per imboccare il sentiero (guai a scordarsi il cucchiaino). Ma a SETTEcento metri dalla meta, mentre Andreas arrancando procede con il suo caterpillar fra il ghiaccio e la neve, Luciano prudentemente accosta la macchina e, fra una raffica e l’altra, ci mettiamo scarponi, ghette, giacca a vento; e via! Lucilla e Luciano procedevano abbastanza spediti; io con qualche difficoltà, perché, in previsione del freddo che avremmo trovato, non mi ero tolto il pigiama e ci avevo messo sopra i mutandoni che mio padre mi ha lasciato in eredità. Lana buona di prima della guerra. La Grande Guerra. Alle nove e mezza il gruppo si è ricomposto e si è iniziata (Marina, avrai notato la purezza linguistica) l’escursione vera e propria.
Veramente, non è che fino ad allora avevamo scherzato. La neve s’è fatta subito piuttosto alta, ma fortuna volle che ci precedeva un gruppo di SETTE persone (forse erano otto, ma una procedeva clandestinamente per fare “la spia venuta dal freddo”, senza turbare la magìa dell’evento.
Quando il gioco s’è fatto più duro, il gruppo che ci precedeva s’è arrestato. E noi, intrepidi, seguivamo Livia che si faceva largo fra la neve. Mentre che ‘na sperella ‘e sole benediceva il nostro coraggio.
All’una meno SETTE minuti siamo arrivati alla croce del Monte Gennaro (cinquecento metri in quasi tre ore e mezza: non male in quelle condizioni meteo). In fretta abbiamo consumato il pranzo e, siccome l’acqua delle borracce era un blocco di ghiaccio, Peppe ci ha somministrato tappini di whisky; Andreas più prosaicamente distribuiva porchetta.
La discesa, come sempre succede quando c’è neve, è andata che era un piacere: bastava che ti lasciassi andare saltellando, abbrancando qualche volta la coscia che, affondata, non voleva riemergere. Scendi che ti scendi (non ci siamo mai discosti – o discostati? – dalle orme che avevamo lasciato nel salire), ad un certo punto qualcuno ha pensato e detto che eravamo scesi troppo; tempo qualche secondo ed eravamo tutti convinti che eravamo scesi troppo. Tutti, tranne Lucilla, che da un pezzo avevamo perso di vista: Ed eravamo in apprensione per lei. Subito Livia e Luciano sono risaliti per ritrovare il giusto… sentiero. Ma Andreas, teutonicamente positivo (ma non erano loro che avevano inventato l’idealismo?), è sceso di una cinquantina di metri e ha trovato la fine della discesa e del sentiero.
Dove ci aspettava Lucilla.
Dopo, solo ordinarie consuetudini: il cambio degli indumenti bagnati e degli scarponi; e al bar chi i soliti cioccolati caldi, chi il caffè, e Luciano che dal suo… briccone di tè bollente ha tirato fuori ben quattro tazze). Tranquillo il viaggio di ritorno. Ma quanti altri volete che avessero osato sfidare il tempo, oltre ai “Sette dell’Arcobaleno”?