domenica 11 giugno 2006 – Iaccio della Capra da Corvaro
Me fa: “Ce sei stato al Monte Iaccio della Capra”. Je faccio: “Più no, che sì”. “E che vor dì?”. “Te spiego”. Eravamo proprio ‘na dozzina, che, se nun era sporca, era almeno opaca, chiusa in sé a domandasse: chi me lo ha fatto fare, che tutte le previsioni dicono temporali?. Tempo de arivà all’altezza de Castel Madama, che telefona Bruno. Dice che, come preannunciato, lui e famiglia, cioè a dire i du’ corazzieri Sandra e Stefano, che – quest’urtimo – ormai è prossimo agli uno e novanta), dice che dove ci aspettano, cioè nei pressi de “Carsoli”, che ci hanno comprato ‘na casetta da ristrutturà, cosicché mo’ Bruno non fa più solo l’ingegnere, ma pure er tramezzaro (quello che butta giù e rifà tramezzi), er muratore (fermate, muratò, co’ quer piccone, sinnò so’ guai)), er falegmame, er portacofana, er carciarolo (che – tutti ce lo sanno – va sempre controcorente) dicevo che diceva che da loro pioveva a dire otto (io questa nun l’ho capita) e – diceva ancora – si era il caso de vedecce là, che poi decidevamo. Elsa je risponne che mo’ era un po’ complicato avvertì l’antre du’ machine e allora era mejo vedesse andò era programmato, cioè a Corvaro, che dal nome stesso – voi lo capite – nun portava gnente de bono. Difatti dopo qualche minuto che avevamo cominciata la scursione, te comincia a fa certi goccioloni che quelli de aprile je facevano un baffo. Fatto sta che dopo ‘n’ oretta d’acqua che ce cascava in testa e penetrava da tutte le parti, bagnando calzettoni, mutande e maglietta de lana, alcuni di noi dodici – s’era capito che i Tribioli avrebbero continuato a marciare compatti in fila per uno col resto di zero: ma tanti di voi che ne sanno dello zecchino d’oro degli anni sessanta? Alcuni di noi – dicevo – confabulavano fra loro: chi glie lo faceva fare a bagnarsi fin nelle midolla (cazzo, come parli ben!); era meglio ripiegare in paese, scaldarsi in qualche bar con tè (tè è un tè generico, nun ce l’ho co’ te; e poi è ‘na battuta) o cioccolato o cappuccino; fatto sta che io, Rocco, Gianni, Betty, che è così che la chiama Paola, la nuova entry, che è amica de Gianni, ma che io conoscevo come Benedetta, noi cinque dicevo comunichiamo che noi riscendevamo a valle, magari umiliati come le truppe austriache del proclama diaziano della Vittoria; e il… ghiaccio della Capra lo lasciavamo tutto a loro. E, detto fatto, salutiamo il resto della compagnia, che, oltre ai tre corazzieri, era fatto de Elsa (a sora Cosa, mbeh è finita ‘sta storia che co’ te è sempre tempo bello e se rinforza quell’altra che co’ Bruno non c’è bel tempo che venga), e poi, ancora, era fatto de Andreas e Benedetto, Emma e Flavio, Livia e Dog-Gigio. , e ultima Nadia, che – secondo me – nun è che ha deciso lei, ma s’è lasciata portare, ‘ntronata com’era ancora dalla trombata elettorale (difatti je servivano un trecentosettanta preferenze e lei n’aveva raccapezzate ducento: tutta colpa vostra che nun avete risposto al mio appello di orientare al voto per Nadia i vostri parenti amici e conosceenti del Settimo). I poco magnifici cinque, dunque, sono riscesi a Corvaro, si sono riscaldati al bar, hanno giocato a briscola; poi, verso la mezza, Rocco ha dato ‘no sguardo de intesa al sottoscritto e ha detto che mo’ cercavano un ristorantino. Che difatti fu trovato e il cameriere Alì (e te pareva!) ci portò, mentre che avevamo spostato il tavolino sulla strada in mezzo a luminosi fasci di sole, ci aveva portato fumanti scodelle de pappardelle ai funghi porcini, fettuccine al ragù; eppoi agnello, pollo alla griglia, e broccoletti ripassati; e un po’ di tiraci-sù; e il caffè; e l’ammazza… ; ammazzave che scompitati, direte voi. Ma in realtà lo pensiamo anche noi. E il Monte Iaccio? Perché, ve risulta che i monti è robba che se magna? Gualtiero