Domenica 21 gennaio 2007 – Camminando per l’Aventino. Passeggiata su uno dei colli della città eterna.
C’era una volta. Dovete dunque sapere che una volta c’era Arcoiris. Era un’associazione di molto brave e belle persone, che salivano e scendevano per le montagne, visitavano città d’arte come Siena, Firenze, Venezia, la costa amalfitana, le Cinque Terre, la Reggia di Caserta, dove poi andà – invidioso – tutto il vertice governativo di allora, poco prima che ritornasse la Destra per ventotto anni di seguito…
Ebbene, una volta questa Associazione disse a Gualtiero: questa volta ci accompagni tu e il tema sarà “camminando per l’Aventino”. E Gualtiero, che il solo pensare all’impresa gli faceva tremare le gambe, si preparò scrupolosamente per più di un mese, ma quando venne il giorno – era la Domenica 21 gennaio del duemilaesette dopo Cristo – non si ricordò più niente e, davanti ad architetti, insegnanti, managers, informatici e tutta gente del genere, che parlava estremamente forbita (ovviamente non sto parlando di Lucilla, che però – ironia della storia – aveva il nome assai consono all’austera romanità della circostanza), introdusse la camminata così: “C’era una volta un po’ di gente “Patrizia” (un nome che poi si conservò nei secoli, tant’è che qualche Patrizia è ancora fra noi), gente che piazzò la sua residenza fra il Colle Palatino e il Colle Capitolino e tutti i prigionieri, che faceva nelle numerose guerre intraprese e vinte (Waterloo, Sedan, Caporetto e Bagdad erano ancora sprofondati nel divenire della Storia), li ammucchiava sull’Aventino, gridando loro ‘Plebei, Plebei!’. I quali plebei un po’ erano come i futuri servi della gleba, un po’ si ribellavano, ma c’era sempre un Menenio Agrippa che diceva loro: suvvia ragazzi, siamo tutti – patrizi e plebei – nella stessa barca, voi a remare, i patrizi sulla tolda, ma tutti a lavorare per la grandezza di Roma. Comunque, fra la gente patrizia ogni tanto c’era qualche brava e buona signora col cuore tenero che offriva ai plebei una parte della sua aristocratica villa per farci la Chiesa e in cambio i plebei diventavano i domestici della signora e la Chiesa, perciò, si chiamava ‘Ecclesia Domestica’: nacquero così le chiese di Santa Prisca, Santa Sabina, Santa Saba (ma non era un monaco? ndr), Sant’Alessio (è un po’ complicato spiegare questo nome maschile, ma la spiegazione c’è…)”.
Dopo questa favolosa introduzione è cominciata la camminata: chiese e monasteri, un cimitero chiamato ‘Piazza dei Cavalieri di Malta’, strade silenziose e assorte (era di domenica e la gente ancora dormiva), il clivo di ‘Rocca Savella’, fatto di sampietrini e d’erba, che scendeva fino al Tevere, un altro detto dei ‘Publicii’, che risaliva al tempo dell’antica Roma – 289 a. C. – prima strada lastricata con marciapiede!
Finita la camminata, erano tutti festosi: finalmente si passava dalla cultura alla gastronomia. Il pranzo si sarebbe consumato alla cooperativa “Decima” con questo preciso menù: antipasto alla contadina (broccoli sott’aceto), prosciutto e formaggio; pasta e fagioli, pasta asciutta; fettine e salsicce; insalata; crostata industrialcasareccia; caffè; vino della casa. E, senza la possibilità di schiacciare il pisolino postprandiale, si passava subito appresso alla Torre, ribattezzata per l’occasione del ‘dormiveglia’, dove si proiettavano paesaggi delle escursioni 2005-2006 con, alla fine, una presentazione pirotecnica – applauditi a schermo aperto Marina Conti e collaboratori – dei partecipanti alle escursioni dell’annata trascorsa. ‘Dulcis in fundo’, veniva annunciato un a lungo atteso matrimonio: lei è Patrizia, ma Peppe (pardon: Giuseppe), pure lui – sia chiaro – è un ésprit vraiment aristocratique.
Poi, fra sincere effusioni d’affetto, felici e contenti e un bel po’ appesantiti (al mio paese si sarebbe detto con voce ancor più onomatopeica: ‘appasimati’), tutti hanno fatto ritorno alle loro dimore, giurando di rivedersi ‘alla prossima’: è vero, dicevano tutti così.
Alla prossima.