18 dicembre 2016 – la Street art al Quadraro
Domenica 18 dicembre con un freddo che tagliava le orecchie un primo gruppo di Arcoiris arriva quasi puntuale, alle 9 alla fermata della Metro A di Porta Furba Quadraro. Un secondo gruppo arriverà, invece, alle 10. Eh già, questa volta ci siamo dovuti dividere in due gruppi perché l’associazione il MURo, che guidava i nostri passi nel quartiere e nella sua storia attraverso meravigliosi murales ci aveva detto che gruppi superiori alle 30 persone, in genere non erano contemplati. Così, essendo noi, quella domenica, in 45 abbiamo dovuto chiedere se potevamo formare due gruppi per dare modo a tutti di conoscere queste opere che alcuni di noi, passando per il quartiere, avevano già adocchiato, ma che conoscevamo in pochi nella loro genesi e nei loro significati più “nascosti”. Con i mattinieri c’ero io, Caterina, come responsabile del gruppo, ma responsabile anche nel senso che la scelta del luogo e del tema era stata la mia, che amo particolarmente approfondire la conoscenza delle periferie della nostra amata e degradata città; la nostra guida era Giorgio Silvestrelli, tra i fondatori dell’associazione il MURo. Per il secondo gruppo la responsabile per Arcoiris era addirittura il nostro presidente, Nadia, che ha dovuto, pochi giorni prima del 18, accettare questo ruolo e studiare un po’ di storia della street art, accettazione leggermente forzata (ma chi meglio di lei poteva svolgere questo ruolo?) e vissuta con una leggera ansia perché non avendo organizzato lei in prima persona la giornata forse non era sicura che tutto funzionasse come un orologio; per i “dormiglioni” la guida dell’associazione era Mirco.
Le nostre guide ci hanno condotto tra piazze, strade, vicoli e tunnel nella zona più vecchia del quartiere, quella nota già dal 1600, ma divenuta quartiere dall’inizio del ‘900 legata all’aeroporto di Centocelle (ecco il legame con i centocellari, lo zoccolo duro di Arcoiris) e agli stabilimenti di Cinecittà. Il lavoro degli abitanti era soprattutto legato al mondo del cinema, tra sarte, parrucchiere, falegnami, barbieri ed i luoghi di ristoro frequentati da attori, registi, sceneggiatori e comparse. La storia più conosciuta del quartiere, però, è quella della Resistenza, il quartiere era definito un “nido di vespe” perché nei mesi dell’occupazione di Roma si diceva che per sfuggire dai tedeschi, “o vai al Vaticano o al Quadraro”. Ed i murales che riempiono la parte vecchia del quartiere parlano proprio di questa dolorosa vicenda che costituisce l’anima identitaria di questo lembo di terra romana. E allora via partiamo da un’immagine scelta da David Diavù Vecchiato, un’immagine semplice e comprensibile per tutti: un ovulo in stile cartoon al centro e tanti spermatozoi colorati attorno per significare la vita che continua dopo la deportazione di circa 900 uomini tra i 15 ed i 50 anni ad opera dei tedeschi il 17 aprile 1944. La prima opera che Giorgio ci descrive non solo nei particolari, ma nella sua genesi, nelle fasi esecutive, così come farà con tutte le altre perché ha aiutato i vari artisti nella preparazione e nell’esecuzione dei vari lavori, passando poi a The buckingham Warrior di Gary Baseman, artista polacco e poi alla rappresentazione delle vespe nel loro nido, al serpentone di piazza dei Tribuni, all’opera di Zelda Bomba con le sue donne tristi e determinate, al Risucchiattore dopo il tunnel, la Fenice, le Rane, il Codice , il piccolo Hulk, gli esodati, la donna di Modigliani e la giapponese. Insomma tante, tante opere di street artists italiani ed internazionali venuti qui per dare colore ed identità ad un quartiere ed ai suoi abitanti che hanno accolto (all’85%, diceva Giorgio) questo progetto di riqualificazione del quartiere con interesse e cura. Mentre i murales prendevano vita c’è stato chi ha fornito la corrente elettrica, chi ha portato da bere e da mangiare, chi ha chiesto se poteva essere dipinto il muro della propria casa, chi ha tagliato i capelli. Un coinvolgimento, insomma, che dovrebbe far scuola quando si parla di spazi della città, un modo di essere con le persone che la politica dovrebbe riscoprire, un sentirsi parte di una comunità che scalda il cuore in un periodo come l’attuale in cui sembra prevalere l’incattivimento di tutti.
Le temperature erano basse, ma il cuore si scaldava.
Anche con il gruppo con Nadia come responsabile ha avuto la sua guida eccezionale, non so se tanto ciarliera come la nostra, ma mentre lei qualcosa sulla street art ha detto, io che avevo preparato qualche paginetta ho tenuto tutto per me.
Alla fine i due gruppi si sono riuniti, e siamo diventati gastroenoiris, come nella migliore delle tradizioni e una buona parte dei partecipanti ha condiviso il pranzo alla locanda dei Girasoli, locale del quartiere gestito da ragazzi down. Lì Lucilla ha rischiato grosso, voleva aiutare nella distribuzione dei piatti, ma le è stato impedito da una delle nostre cameriere che in modo molto deciso le ha fatto capire che non doveva spostarle niente. E quando ricapiterà un’occasione del genere?
Questa volta me la sono suonata e cantata da sola, come si suol dire, ma per farmi perdonare vi invio il materiale che avevo raccolto, arricchito da ulteriori informazioni. Ci sono molte immagini, guardatele e poi mi direte se non è arte. Digitate Muro e ritroverete le immagini che avete trovato sui muri del Quadraro. Suggerisco anche di visionare la mappa della street art di Roma, ci sono opere che lasciano a bocca aperta.
In ogni caso la nostra martoriata città ci regala sempre nuove scoperte ed è bello farle insieme. Le periferie, in particolare, nascondono meraviglie e formano realmente l’anima di questa capitale. Forse è da esperienze come questa del Quadraro che dovrebbe riprendere vita un nuovo modo di “fare” e di stare insieme.
A gennaio,
Caterina