domenica 13 marzo 2022 – T – La Cura.Trekk urbano al Mandrione e dintorni
Eh sì, proprio così, il percorso stamani si preannuncia lungo e da passeggiare con cura, teneramente affollato di persone che incontriamo dopo un tempo scandito dalle fasi covid. Il saliscendi di contagi ha mantenuto tutti in un certo isolamento. Perciò adesso il piacere di rivedersi si rinnova a cominciare dai saluti. La novità che ci permette oggi di ascoltare le letture e la nostra guida senza assieparci e senza essere disturbati dal rumore del traffico è un’App. E dal telefono, o in cuffia, possiamo ascoltare chi sta parlando anche mentre osserviamo i dintorni. All’ombra o al sole, secondo il proprio gusto.
Oggi è una splendente domenica di sole, al nostro incontro sono tutti ancora con i cappelli, poi, man mano che passano le ore, i giacchetti vanno a finire sul braccio libero e, dopo un po’, dentro allo zainetto.
Davanti all’Augusto, luogo dell’appuntamento, si leggono le circolari dei Dirigenti scolastici dei primi anni 60. Raccomandano di avere cura; di saldare i comportamenti, l’aspetto e la dignità degli studenti, al valore degli studi che offre il liceo classico, studi che per quei tempi non sono ancora una possibilità tanto estesa e popolare.
Ci dirigiamo nel quartiere Appio, verso la Stazione Tuscolana, osservando patrimoni immobiliari pubblici che finiscono in degrado, affidati all’incuria del tempo che passa, della pioggia e del vento, che lentamente distrugge. Il quartiere è il mio, dentro c’è la mia infanzia e la mia giovanezza (come la chiamava Umberto Saba) le camminate e le chiacchierate infinite con le amiche e i fidanzati…. e mentre si va con gli altri, si parla di genitori anziani, da curare, e le età si mescolano: i ricordi di gioia e quelli di dolore (testimoniati dalla pietra d’inciampo di via Taranto per esempio) sono tutti compresenti.
Ci si ferma sotto gli alberi giganti di Villa Fiorelli a rammemorare gli attori famosi che hanno vissuto nel quartiere, si fa cenno per ciò alla cura di sé. La cura di sé: più facile da consigliare agli altri, ma strada spesso in salita per chi ha insensibilmente disceso una china. Non tutto va male però e ci fermiamo in via della Stazione Tuscolana a considerare come ogni volta che le associazioni attive sul territorio utilizzano gli spazi, prima in abbandono, il processo culturale che promuovono rivitalizza i luoghi. E quando ci spostiamo a Ponte Casilino, l’esempio di quanto è necessaria la cura e la vicinanza per i molti deboli che popolano la nostra città, ci appare plasticamente. Affacciata alla finestra della Casa Santa Giacinta vedo una donna che asciuga placida i suoi capelli al sole; quasi sorride al venticello fresco che glieli scompiglia. C’è aria di pace, e ce la godiamo, non sento parlare di Putin, non sento parlare di armi; abbiamo tutti una grande paura del male incurabile della guerra.
Vecchi e smagriti alberi di limone sono fioriti e aspettano invano la pioggia; per una volta salgo sul terrapieno accanto alle mura dell’acquedotto di Papa Sisto, su via del Mandrione a strapiombo sulla ferrovia. Adesso tutti ci incamminiamo sul ponte che la sovrasta ed è bellissimo guardare via del Mandrione a rovescio. L’abbiamo percorsa per anni nel senso di marcia dei veicoli, e ne abbiamo avuta un’immagine sola, a senso unico (era troppo pericoloso fermarsi e voltarsi); ma oggi, a piedi, è tutto diverso.
Quando ero piccola, via del Mandrione era spavento di coltelli, spavento di ladroni, lì c’erano le auto con i mozzi delle ruote appoggiate sui mattoni, pericolo di sassi lanciati dalle bande dei ragazzi, oggi invece la via costeggia un susseguirsi di piccoli giardini.
Cinquanta anni di cura degli abitanti si vedono eccome nello spazio circostante. I ragazzi che dovevano spaventarmi in realtà erano solo appena un po’ più poveri di me; e hanno passato qualche tempo della loro vita al riparo delle grandi arcate dell’acquedotto, ma l’amore delle loro madri li consolava e i maestri delle scuole popolari, di borgata, avevano cura del loro destino. Di quei maestri caparbi Luciano ci racconta, e di una maestra, in particolare, che ha speso il suo impegno nella comunità dei piccoli e dei loro genitori all’Acquedotto Felice. Insegnamenti di comunità e aiuto tra pari mi fanno riflettere sul fatto che nella cura spesso c’è gratuità, c’è un tempo di divertimento, senza il quale il gesto non sarebbe tanto efficace.
Sono impressi nei ritratti fugaci di Pasolini, i bambini allegri di quel passato, nitidi come in una fotografia. Intanto riconosciamo finalmente le torri, i campanili e le sagome dei condomini che, visti dalla finestra di casa, ci chiedevamo sempre “ma dove saranno?”
Ci orientiamo sempre meglio? Non fosse per i potenti richiami di Lucilla sai quanti si sarebbero persi in chiacchiere e nelle traverse di via Assisi prima di approdare a Villa Lais? Ma ci siamo: il famoso giardino pubblico, oasi di pace nel popoloso quartiere che lo circonda, ci fa stare sparpagliati e puntuali all’ora del pranzo al sacco. Che dire poi del cioccolato che l’inflessibile Lucilla ci regala…..sì lei lei: la capace di coccole!
Ci fermiamo ancora un poco, io aggirandomi con lentezza nella parte più curata a valle del giardino, per ascoltare un articolo che rende note le cifre irrisorie pagate da ciascuno di noi per il Servizio Sanitario Nazionale. Sono la contribuzione da raffrontare all’impagabile capacità di cura in emergenza, erogata agli imprudenti, agli sfortunati, agli incapienti, a tutti gli stranieri residenti, coi quali coabitiamo nel Paese.
Passiamo poi accanto all’enorme centro dell’industria farmaceutica Angelini, esempio di che bella città può diventare quella che fa spazio ad architetture innovative. Parlando di farmaci (mi stupisce quanto sono cliente della Angelini), si continua a parlare di cura.
Di quante Happy Pills abbiamo bisogno per sentirci sicuri? Di quanta ricchezza? E per contrasto ragiono sulla fragilità, ineludibilmente.
Ci aspettano però Paolo e gli altri, del presidio di zona dell’associazione Libera, ci aspettano per commemorare insieme la giovane Atria, testimone di giustizia, testimone di quanto la giustizia può costare, di quanto la giustizia inizia a far chiarezza nei nostri pensieri e nei comportamenti quotidiani per poi farci sognare che dilaghi, condivisa e moltiplicata, con cura.
Il cammino si conclude e ci lasciamo nuovamente con i saluti, passando da un gruppetto all’altro, come fanno le api che girano intorno agli alveari. La ricchezza dei rimandi e delle suggestioni di questo incontro la dobbiamo a Luciano, il mite.
La sua cura per noi non ci passa inosservata.
Laura M.
Che meraviglioso resoconto di amore per il quartiere e per la città e di ammirazione per il nostro L.
Un abbraccio
Che meraviglia Laura, hai fatto in modo che ritornasse ancora la voglia di ripetere la camminata per assaporare nuovamente tutte le sensazioni descritte. Grazie e, ovviamente, un immenso grazie anche a Luciano.