Sabato 15 giugno
E – Monte Turchio. Nel parco nazionale d’Abruzzo
Al Monte Turchio, miei prodi!
Peperoni. Peperoni rossi. Questo eravamo, alla fine dell’escursione andreasiana di ieri, sabato 15 giugno. Esistono i comandamenti e i comandati; esistono i dieci comandamenti, ma noi eravamo i dieci comandati; anzi, comandati no, perché non ce l’aveva ordinato il medico. Eravamo (divisi per auto): Andreas, uomo solo al comando; Peppe, Patrizia e Catharina; Luciano, Lucilla e Caterina, che avevano pernottato a Pescasseroli (cena al ristorante e B§B, poverini per non svegliarsi presto), le sorelle Carlomagno Antonietta e Anna con migo (sempre l’inglese, no).
Io sono andato all’appuntamento, che era fissato alle 7,40, a Largo della Primavera (e, infatti, siamo entrati ormai in piena estate: quando la finirete con queste stupide battute, chi lo sa: ormai, nessuno sa più niente, dopo che il PD era stato dato per morto, invece è risorto alle elezioni di maggio, realizzando il famoso… cappotto del 16 a zero: io no so voi, ma qui non si può tentare di prevedere più niente. Niente.).
Ma eravamo rimasti? Ah, sì: all’appuntamento con le Carlomagno. Partiamo precisi; e precisi arriviamo al valico di Gioia Vecchio (non è un’errata concordanza, si chiama proprio così; è a 1400 metri e ti accoglie, offrendoti la vista di una facciata-gioiello di una chiesetta, forse rinascimentale, e di un panorama mozzafiato sulla vallata sottostante: te credo che qua nel periodo estivo Dacia Maraini allestisce performances, e qui l’inglese ci vuole, teatrali; sono le 9,30.
Lassù c’è già Andreas, orso marsicano con occhietti azzurri, azzurri come il mare. In pochi minuti arrivano tutti gli altri e il gruppo, compatto, con le auto si dirige al vicino Passo del Diavolo: niente paura, il diavolo di fronte a una giornata così limpida e serena, se l’è data a gambe. Destinazione monte Turchio a metri 1898: ma facendo un olimpionico salto in alto, si toccano i 2.000 metri; la salita, comoda tutto sommato, dura un paio d’ore; in vetta c’è troppo vento, quindi scendiamo un po’, per metterci al riparo e consumare il nostro frugale pasto.
Da Pescasseroli Caterina e Lucilla hanno portato la famosa pizza bianca e quella rossa, Andreas – come è arcinoto – non fa mai mancare tocchi di porchetta; eppoi, chi ha aperto il portapranzo con dentro pomodori col riso e patate, e chi la solita frittatina, sbattuta sommessamente, per non svegliare, nel cuore del sonno, Elsa e i vicini; io, veramente m’ero portato anche polpette ricotta e spinaci, ma le ho riportate indietro, perché lo troppu struppia, dicéa ziema Irena…
La discesa dall’atro (no, no, errore di battuta: leggere “altro”) versante è durata circa due ore (che fanno quattro) e ci ha portato alla sorgente “Le Prata”; e poi c’è voluta ancora un’ora e mezza per tornare alle macchine: insomma, un’escursione fra le cinque e le sei ore (pause escluse, come annota Andreas) è una bella escursione, un’escursione all’antica, dove si suda e si beve parecchio. Ma che ve lo dico affà? Molti di voi ormai preferiscono le escursioni cittadine o turistiche (Giglio, Capri, Ischia, Saint Tropez). Gente, mi ricordate gli “Ozi di Capua”; e spero sappiate com’è finita la storia di quella spedizione annibaliana. Alla Prossima. Gualtiero.