domenica 23 aprile 2023
T – Visita al Museo della Liberazione e trekk urbano “Roma città aperta”
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I quindici baldi escursionisti urbani s’incontrano, tutti puntuali, davanti al civico 145 di Via Tasso. Ci siamo solo noi e una decina di badanti in fila, oggi che è il loro giorno libero, davanti ad una sede sindacale, ospitata al pianterreno dello stesso palazzo. Ancora oggi un anonimo palazzo come questo ne avrebbe di storie da raccontare, attraverso le vite di donne, e uomini, venuti da lontano, via dai loro drammi ad alleviare i nostri.
Non ero mai stata a visitare il carcere di Via Tasso, in quell’ordinario condominio di edilizia fascista, la cui facciata senza fronzoli schermò, dal settembre 1943 all’arrivo degli americani, le violenze perpetrate dai nazisti agli ordini di Herbert Kappler nei confronti di duemila antifascisti romani passati per quelle celle e molti dei quali poi giustiziati a Forte Bravetta e alle Fosse Ardeatine.
Le audioguide sono poche e la app del museo sul mio cellulare non funziona. Non importa, malgrado le scritte troppo piccole dei pannelli e la luce fioca (ma ciò credo sia voluto, per ricreare almeno un po’ la tetraggine del sito), qui è l’evidenza a parlare.
Tre piani di un’ala di quello che ancora oggi è un condominio ospitano il piccolo Museo della Liberazione, tre modesti appartamenti, le cui camere, cucina inclusa – murate le finestre -, vennero trasformate in celle, che arrivarono ad ospitare contemporaneamente centinaia di detenuti (come documenta l’asettica contabilità di un “mattinale” del 18 maggio 1944, affisso in una bacheca) in condizioni igieniche non difficili da immaginare. Al secondo e terzo piano il ripostiglio, cieco, divenne cella di segregazione, alle cui pareti alcuni graffiti restano a testimoniare il passaggio dei prigionieri in isolamento, attraverso iniziali, date, messaggi cifrati e commiati tenerissimi, come quel “baci infiniti” che riesco a leggere sotto il vetro protettivo.
Fra tanti documenti, manifesti, stampa clandestina, medaglie, schede segnaletiche e commoventi reliquie, non dimenticherò una pagnottella su cui un carcerato incise le parole “coraggio mamma” e la tuta (di jeans!) piena di toppe cucite grossolanamente, appartenuta al “politico” Vincenzo Colella, internato a Mauthausen (ma poi vissuto fino a 100 anni). C’è anche la scheda segnaletica del senatore Adriano Ossicini, persona che ricordo garbatissima e per la quale tanti anni fa feci qualche ricerca sul tema a lui caro della bioetica.
Abbiamo già sforato la tabella di marcia fissata da Luciano, nostro accompagnatore egregio, ma un caffè non te lo vuoi prendere? E allora tappa dai cinesi all’angolo di Viale Manzoni, ma i cornetti sono già finiti. Meglio così, la prova costume si avvicina.
Luciano accelera il passo. E io farò altrettanto nel racconto. Necessaria premessa della nostra guida, e, di conseguenza, di questo raccontino, è che il percorso che copriremo non segue gli eventi in ordine cronologico ma ci impegnerà a balzi in avanti e ritorni indietro, altrimenti altro che i prefissati sette chilometri!
In metro ci spostiamo a Piazza della Repubblica, da cui inizia la nostra passeggiata. Prima tappa a Via Principe Amedeo, davanti al palazzo d’angolo che ospitava al quinto piano la Pensione Oltremare, dove, fra il gennaio e l’aprile 1944, si stabilì la famigerata Banda Kock, una sezione di polizia specializzata nelle torture ai membri della Resistenza romana; oggi quel luogo di sevizie, ristrutturato, ospita la redazione di Radio Radicale. Luciano ci fa notare che dei molti luoghi significativi degli eventi della Resistenza romana sparsi per la città quasi nessuno ha una targa a ricordo: è il caso anche di questo palazzo. Mentre una targa c’è sull’edificio costruito dove sorgeva il villino della pensione Jaccarino, a Via Romagna 38, quando quelle tre stanzette di Via Principe Amedeo non bastarono più. Pochi passi e siamo al Teatro dell’Opera, dove il 5 dicembre 1943 i Gap, in uno dei primi episodi di guerriglia urbana, attaccarono due camion tedeschi, incendiandoli.
A passi lunghi raggiungiamo Largo Santa Susanna, scendiamo per Via Bissolati inondata dal profumo di zagare e risaliamo Via Veneto, dove Luciano ci segnala l’Hotel Excelsior e, alla fine della strada, ci fermiamo davanti all’Hotel Flora: Via Veneto era Via Veneto già ben prima della “dolce vita” e gli ufficiali nazisti che alloggiavano nei due hotel si dilettavano con feste e ricevimenti. Il 19 dicembre 1943 i partigiani compirono un attentato davanti all’Hotel Flora, che ospitava anche l’Alto comando della Wehrmacht; le vittime naziste furono diverse e da allora la via fu chiusa al passaggio.
Una bruna con occhialoni da sole sfreccia rombando davanti a noi al volante della sua rossa Ferrari decappottabile. Mah!
Si è fatta una certa, entriamo in Villa Borghese e ci sistemiamo su un prato trapunto (vi piace “trapunto”?) di margheritine, per un sobrio spuntino. Non li riconosco più! Chi mangia uova sode e fagiolini, chi insalatine di pomodori, e tutto senza pane! Nessuno che tiri fuori nemmeno un pezzo di cioccolata! Dov’è Silvia? Dov’è finita Gastroiris?
Però, al caffè non si rinuncia, giusto al vicino bar della Casa del Cinema, affollatissimo, e nel cui bagno ho visto cose che voi umani …
Torniamo su Via Veneto e scendiamo fino a Piazza Barberini, il cui cinema – ci racconta Luciano – fu attaccato il 18 dicembre 1943 da Capponi e Bentivegna: otto tedeschi morti.
Giù per il Tritone e siamo a Via Rasella, una stradina stretta e dimessa, dove il 23 marzo 1944 i gappisti compirono l’azione più eclatante ai danni del battaglione Bozen SS (ma non era una banda musicale di semipensionati?). I fori dell’esplosivo e dei proiettili sono ancora lì a rendere testimonianza, sulla facciata del palazzo. Il nostro storico di riferimento, Claudio, arricchisce il racconto di Luciano con puntuali osservazioni e dovizia di rimandi a letture di approfondimento sul tema ancora divisivo del presunto rapporto causale fra Via Rasella e le Fosse Ardeatine.
Costeggiamo la sede del “Messaggero”, il cui direttore dell’epoca, Bruno Spampanato, perfettamente allineato ai nazisti e fascisti, non riuscì ad evitare l’adesione dei tipografi ad uno sciopero indetto dalla Resistenza il 3 maggio 1944: Spampanato si trovò in difficoltà con i nazisti; alcuni tipografi furono arrestati e deportati.
Un rombo alle nostre spalle: di nuovo la mora che sfreccia in Ferrari. Mah!
Continuiamo a scendere per il Tritone e cominciamo a perdere i pezzi: chi ha altri impegni pomeridiani si congeda; Claudio ogni tanto si assenta per un caffè fuori ordinanza o per rinfrescarsi la memoria di un Caravaggio a San Luigi. E poi ci sono i pit stop. Se Luciano ha disegnato la mappa della giornata “resistente”, a Lucilla va il merito di aver tracciato quella dei bagni (qui si può resistere fino a d un certo punto!): dal caffè della Casa del Cinema ai bagni della Rinascente a quelli della Galleria Colonna (ahò, a me non mi viene di chiamarla Alberto Sordi), unico esercizio in attività nella desolata Galleria, da cui mancavo da epoca pre-Covid.
Ci fermiamo un attimo davanti a Palazzo Chigi per ricordare la vergognosa fuga del Re e del Governo il 9 settembre 1943 ed il fallito tentativo di convocare un comizio dei partiti antifascisti nella stessa Piazza Colonna. Ma nel pomeriggio dello stesso giorno, in un appartamento di Via Adda, verrà fondato il CLN. Sulla medesima piazza ecco Palazzo Wedekind, già sede del Partito Nazionale Fascista, dove il 17 settembre 1943 s’insedia Pavolini, divenuto segretario del Partito Fascista Repubblicano. Massimo fa il fanatico: dopo averci illustrato la storia del palazzo a partire dal Tempio di Marco Aurelio che lì sorgeva, conclude dicendo che il Palazzo ora appartiene all’Inps e “Il Tempo” gli paga dei soldi per mantenere l’insegna sulla facciata.
Più ci avviciniamo ai luoghi “iconici” (ahi ahi ahi, che logoro aggettivo!) della Città Eterna, più aumenta la ressa dei turisti: non vi dico per percorrere la stretta Via della Colonna Antonina, attraversare Piazza Capranica, proseguire per Via delle Colonnelle! Anche a Piazza della Maddalena ho visto cose che voi umani …: due serpentoni di scimuniti in fila davanti a due botteghe dall’identico nome, che spacciavano panini. Come se non fosse pieno di bar, paninerie, pizzerie, finanche minimarket. «Ma lì non c’era San Crispino?». «Ma da quanto manchi dal Centro?». «Eh, da prima del Covid!». ‘Sto Covid è uno spartiacque: ancora per molto credo che distingueremo l’epoca pre-Covid da quella post-Covid; non è come anteguerra e dopoguerra però, insomma, una bella cesura.
Ma torniamo, appunto, alla guerra e alla resistenza. Fendendo la pazza folla di Piazza Navona (riuscite ad immaginarla?) entriamo nel cortile di Palazzo Braschi, che il 18 settembre 1943 fu occupato da Bardi e Pollastrini, due turpi individui che ivi ricostituirono la federazione romana del partito fascista, abbandonandosi a tali violenze e ruberie che il 27 novembre gli stessi nazisti li arrestarono, trasferendo la sede della federazione nel Palazzo delle Corporazioni (che Luciano ci aveva indicato mentre scendevamo per Via Veneto), oggi sede dell’ineffabile Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Sul sito internet il Ministero si chiama ancora Mise, ma andate a vedere la nuova intestazione sull’ingresso e poi ditemi che effetto vi fa! Soprattutto se confrontata con il ddl C734 di questa legislatura. Aggiungo che, se vi capita qualche apertura straordinaria, di quelle del Fai o di Open House, approfittatene: il palazzo, progettato da Piacentini e Vaccaro, conserva opere di Sironi, Prampolini, Depero, e arredi magnifici.
Basta divagare! Usciamo su Corso Vittorio (anche qui quante vetrine cambiate fra prima e dopo il Covid, e quante chiuse per sempre!), prendiamo Vicolo Savelli, Via del Pellegrino, giriamo in Via dei Cappellari, poi Via di Montoro, Via di Monserrato, Via della Barchetta e finalmente Via Giulia. Qui una targa c’è, sul Palazzo d’angolo con Via di Sant’Eligio, a ricordo della santabarbara organizzata nella soffitta, dove Giorgio Labò e Gianfranco Mattei (che insegnava chimica) confezionavano bombe e custodivano armi: reclusi entrambi a Via Tasso, il primo sarà fucilato a Forte Bravetta, il secondo si suiciderà in cella per non cedere alle torture.
Massimo – ancora lui – ci sorprende, citando una canzone degli Stormy Six, dedicata nel 1975 a Gianfranco Mattei, e ne accenna l’inizio: “Nella soffitta in via Giulia c’è un viavai: strane visite notturne a Gianfranco Mattei… «…metti nella sporta il barattolo, è libero, vai!» ed un ponte salterà al chilometro sei”. Ma quante ne sanno questi di Arcoiris?!
Via Giulia è sempre splendida e lo è tanto più perché sempre deserta, anche oggi, giorno di ponte. Ma appena entriamo nel ghetto è tutta un’altra storia: una fila infinita di disgraziati davanti al famoso forno che fa la famosa crostata di ricotta (vi posso dire la mia opinione? la crostata è sempre bruciacchiata e loro sono scorbutici) e centinaia di altri disgraziati che alle tre e mezza del pomeriggio stanno tutti insieme a mangiare ai tavolini di sedicenti antiche trattorie kosher. I telegiornali dicono che siamo tornati a un livello di presenze turistiche come prima del Covid (ancora!) ma l’impressione è che siano anche di più. Non voglio pensare al Giubileo e prego che non ci venga assegnata l’Expo del 2030.
La camminata volge al termine. Ultima tappa Largo 16 ottobre 1943: qui c’è poco da dire, la lapide posta per il ventennale, nel 1964, ricorda con parole severe la terribilità dell’accaduto ma chi la pose volle invocare per il futuro “amore e pace” fra gli uomini e “perdono e speranza” da parte di Dio. Guerra in Ucraina, guerra civile in Sudan. A che punto siamo con l’amore e la pace?
Scorrendo davanti al Portico d’Ottavia, ci fermiamo sotto il Teatro di Marcello a tirare le fila di quanto abbiamo visto ed ascoltato. Ancora settantotto anni dopo, questo Paese non riesce a dire una parola univoca, definitiva e pacificatrice.
Un grazie sentito a Luciano, per aver preparato – come suo solito – con amorevole cura l’itinerario, e per averci fatto rivivere quei momenti storici attraverso un racconto asciutto, privo di ogni retorica.
Sono le quattro del pomeriggio, abbiamo rispettato i tempi con la precisione di cui è capace solo uno svizzero, o un marchigiano, ci separiamo alla fermata del bus di Via del Teatro Marcello, oggi è giorno festivo e molte linee sono deviate da questa parte. Salto sul 118, che mi porterà alla metro. Al Circo Massimo è in corso la rievocazione storica del Natale di Roma, anche questa è storia (?). Il roseto comunale, riaperto da due giorni, risplende sotto il sole pomeridiano.
Marina M.
Ammazza Mari’, che precisione e che memoria. L’ordine delle tappe, tutti gli avvenimenti, le date, ma soprattutto le vie del centro intasate dai turisti. Brava! Grazie.
Ok