naufragar in questo mare

Darsi da fare per un lavoro

Redazione

lbaldini

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 Gualtiero ci invia “Darsi da fare per un lavoro”. Roba di tanti anni fa …

Corre l’anno 1982 e da un po’ di tempo il Potere ha deciso che possiamo ridiscutere il Sessantotto, ridiscuterlo criticamente; ed eccoci qua tutti quanti indaffarati a buttare sul Sessantotto qualche zampatina di terra, come fanno i gatti. Discutiamo del Sessantotto con un corposo complesso di colpa: brigatismo uguale autonomia uguale Settantasette uguale Sessantotto; e, a forza di parlare di conseguenze nefaste, abbiamo ibernato di quel periodo i germi buoni, che se ne stanno surgelati, come tanti prodotti findus, sotto una spessa calotta di ghiaccio: il germe dell’utopia, innanzitutto, dell’utopia come possibilità, come qualcosa che può succedere, ma il cui prodursi è impedito dalle forze reattive dell’esistente. Per esempio, come realizzare l’utopia della dis-alienazione? Come soddisfare i propri bisogni, senza riprodurre insieme la dipendenza da un apparato sfruttatore, che permettendo la realizzazione, molto parziale, dei bisogni, perpetua la schiavitù? C’è chi suggerisce comportamenti di disimpegno dai valori dominanti, per tentare una radicale mutazione dei valori.

     Più o meno questi, se non proprio questi, erano i pensieri che ho cercato di racimolare dopo la visita di un ex allievo, che oggi ha ventitré anni. Diplomato ragioniere da tre, è stato uno studente mediocre, impersonale, interessi sociali e culturali niente, spaventato dal ‘personale’; voto assai mediocre alla maturità. Da allora non l’avevo più visto.

     E’ impacciato, mi parla dei suoi anni universitari, tre,  a bisillabi, e qualche volta a monosillabi, gutturali; riesco a capire che in tre anni ha superato tre esami, ma che adesso si deve cercare un lavoro, perché i suoi “si sono rotti le palle” di dargli pure la mancetta per le sigarette, dice. Mentre crescono impaccio e farfugliamento, racconta che a sua madre un amico bancario ha promesso un posto in banca per il figlio, ma ci vuole il massimo dei voti; il padre è andato a scuola per vedere se e come si può realizzare la cosa e il segretario gli ha detto che non c’è niente da fare, un certificato con un voto diverso è impossibile; ma il padre a casa dice che una persona influente e un regalino potrebbero far cambiare opinione al segretario, le cose in Italia vanno così. E hanno pensato a me.

      Io, là per là, sono rimasto senza parole, non gli ho detto “Levati dai coglioni, cialtrone!” o “Di me non hai capito un cazzo!”. Niente. Poi ho provato ad articolare le corde vocali, a emettere suoni. Dopo un minuto, che mi è sembrato infinito, si è alzato, scusandosi, ma lui al padre glielo aveva detto di non venire da me, che non ero la persona giusta.

      Già, ma trovare un lavoro in una società ingiusta, che altri gli hanno costruito e che il futuro lo garantisce solo ai ricchi e meritevoli, non resta un suo legittimo bisogno?

Gualtiero


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