naufragar in questo mare: segnalazioni di libri, siti web, film e tanto altro riguardanti temi attinenti l’escursionismo e dintorni
Gualtiero ci scrive: “Se vi interessa… Auguriamoci che finirà tutto bene. “
Eppoi ritornò il sole: 25 aprile ‘45
Il 25 aprile: festa della Liberazione. Non tutti ricordano (o hanno saputo) quanta sofferenza e quanti lutti ci costò la riconquista della libertà, dopo quattro anni di guerra e, soprattutto, dopo una dittatura durata più di vent’anni.
Castel Madama, pur non avendo conosciuto gli scontri cruenti fra partigiani e nazifascisti, che hanno segnato altri luoghi della Toscana o dell’Emilia o del Piemonte, ha avuto tuttavia le sue umili pagine di “resistenza”, le sue azioni militari, i suoi partigiani, i suoi patrioti. Di quest’ultimi volevo incontrarne uno in particolare: Agostino Testa. Mi hanno detto che è un po’ di tempo che non esce più, le cianghi no j funzionano. E allora sono andato a trovarlo. E’ vero: le gambe non gli funzionano più, ma il viso è mobile, è vivo. E anche i ricordi: “sempre sono stato contro il fascismo”. Come mi è successo di notare in Domenico Rocchi e in altri comunisti, iscritti a un partito rigido, monolitico, registro – mentre parla di sé e della sua famiglia – che il suo amore per la libertà si e tradotto in una educazione libera, aperta nei confronti dei figli, anzi delle figlie, perché ha avuto due femmine. Ho sentito nella figlia maggiore, presente all’incontro, fierezza per essere figlia a quel padre, adesso molto vecchio; ricorda come fosse stata lasciata libera di proseguire gli studi, dopo la quinta elementare, perché, così, si costruiva lei, da sé, il suo destino. Ed eravamo negli anni cinquanta, quando alla sera il bus che tornava da Tivoli era uno solo e certe volte dovevi fare le corse da scuola alla fermata per non perderlo. Ce ne voleva di coraggio e di fiducia per delle ragazzine di undici anni, che andavano sole a Tivoli. Ma credo che per un padre antifascista, e quindi amante della libertà, avere questo coraggio fosse un po’ meno difficile.
Già: alle origini dell’antifascismo la mancanza di libertà, il desiderio di libertà. Me li immagino alcuni padri alle viste di tante parate paramilitari, che coinvolgevano i figli innocenti e gaudenti. Tutti quei bambini vestiti uguali al sabato mattina e nei saggi ginnici, tutti figli della Lupa, tutti Balilla, se maschi, tutte Piccole Italiane, se femmine. E’ un vezzo – diciamo così – delle dittature quello di mettere le divise a tutti, fin da bambini; vestirli tutti uguali, come tanti soldatini.
Il padre di Siro era un altro antifascista (sì, ce ne sono stati diversi a Castel Madama) e, quando il figlioletto di sabato si vestiva da soldatino fascista (ma “si doveva vestire”; non era facoltativo; e, magari, ai bambini piaceva pure giocare alla guerra), al soldatino il papà diceva: “Ecco Siro che s’è revistutu da purcinella!”: un modo di metterla in burletta, di sdrammatizzare il ridicolo della situazione, ma che lasciava il piccolo Siro interdetto e anche un po’ dispiaciuto: chissà. Mio padre – racconta Siro – era antifascista e issi lo sapeanu, ma non se nne vantea e pe’ vesso l’hau lassatu perde: niente purghe, come hanno fatto per altri; ma poi quel signorotto non te dava le somenti e quell’altro non ti chiamava a mietere il grano, quando un padre con quelle giornate che andava in opera ci sfamava la famiglia. Ecco: io penso che vivere queste situazioni, subire queste violenze, queste sopraffazioni e vedere, poi, il proprio bambino vestito da “figlio della Lupa”, doveva proprio suscitare il riso amaro in bocca.
Gualtiero