naufragar in questo mare: segnalazioni di libri, siti web, film e tanto altro riguardanti temi attinenti l’escursionismo e dintorni
Quello che segue è uno scritto che ci ha inviato Gualtiero con questo oggetto: leggere e mettere da parte; che poi viene il tempo della rilettura
WALKING – Questo è un termine inglese, che vuol dire “il passeggiare, il camminare”, ma svelto. Io da qualche anno ho finito di fare le mie uscite di corsa. Quelle di adesso, che percorro a passo quasi svelto, durano mediamente un’ora e le chiamo “ore d’aria”, perché le associo all’idea che mi sono fatto dell’ora d’aria del carcerato: un tempo da trascorrere fuori dalla cella, in cui siamo rinchiusi per il resto della giornata, spesso senza luce, senza compagnia. In queste “ore d’aria” misuro la libertà delle mie gambe; e della mia testa, cioè della mia immaginazione, dei miei pensieri e desideri.
Il luogo che frequento più spesso è un circuito di un chilometro, dove incontro alberi, uccelli e persone. Degli alberi riconosco il tiglio, che fra maggio e giugno manda profumi inebrianti; piccoli ulivi che, quando il frutto matura, sono diversi i frequentatori che si danno alla raccolta, forniti talvolta anche di scaletta; qualche fico, qualche noce e qualche melograno, che ognuno di noi scruta con lo sguardo, quando lo sorpassa, contento di vedere i frutti crescere; ma poi, a un certo punto, non si sa mai che fine fanno i bei melograni; puoi però facilmente desumere che non sia stata la “pargoletta mano”, immaginata dal poeta, a coglierlo, ma rapaci manacce o uccelli screanzati, che li succhiano villanamente.
Ecco, gli uccelli: ci sono i passeri, ma non il passero solitario che solo soletto se ne sta “d’in su la vetta della torre antica”; ma il passeretto vivace e scanzonato, che quando passi di corsa o a passo svelto, manco ti si fila. A passo svelto io proprio no se, quando qualche amico mi raggiunge, mi fa “dove vai, Gualtié, co’ sta fiacca?”. Le cornacchie mi stanno quasi antipatiche, ma più per i loro versacci che per le loro movenze a scatti, burattinesche; saltellano sulle loro gambe rigide, saltellano goffe e si arrestano senza flessuosità, mi divertono. Il merlo, lui sì che è un uccello solitario: appare fugace, inconfondibile col suo becco giallo, sempre veloce e guardingo, sempre molto indaffarato: come se avesse sempre tante cose da fare.
E con i bambini e le bambine? Un capitolo a parte: da quelli che danno i primi passi a quelli ancora in carrozzella, che ti guardano curiosi, perché non rientri nel consueto quadro familiare; quelli che vanno in bicicletta, già esperti e fuggitivi da genitrici, che li inseguono con sguardi ansiosi, a quelli e quelle su bici ancora con le rotelle, impacciati loro e le rotelle nei movimenti comuni, curve e arresti improvvisi; e penso che loro, bambini di cinque o sei anni, potrebbero già liberarsi delle rotelle: oh mio figlio, se per questo, è stato un prodigio: nel viottolo della nostra casa estiva, non aveva ancora quattro anni, che annunciava un po’ trionfante e un po’ incredulo (come è nel suo carattere): “mamma guardami, che vado senza rotelle!”. E mamma lo guardava, ma non con quell’interesse che lui si aspettava. E il padre lo guardava? Troppe volte i padri hanno altro a cui pensare…
E poi ci sono i grandi: anche grandi di colore giallo con gli occhi a mandorla, giovanotti neri e nerissimi, come Balotelli, ma anche belli; e ci sono donne con vesti svolazzanti e avvolgenti, fin quasi al mento. Le magliette e le tute: quelle le osservo sempre con attenzione e se, quando mi passano davanti, non riesco a leggere le scritte impresse sul petto (ma qualche volta le scritte stanno sul retro), mi riservo di completare l’opera al giro successivo: ci sono scritte anche spiritose come “ciomberfisico”, “guardachefico”, “berto race” (ma questa è prerogativa maschile, al femminile suonerebbe presuntuosa e sboccata; e in una donna non sta bene).
E i cani? Ci sono cani al guinzaglio e cani liberi, che si rincorrono e si annusano; e si riconoscono come quelli del giorno prima e ricominciano a giocare, fingendo litigate rumorose. C’è quello piccolino, quasi un batuffolo, che si agita attorno al cagnone, che lo guarda con sufficienza, “ma te ne vòi annà”. C’è il cane che corre col padrone, ma sempre di lato e leggermente arretrato, per non intralciarlo; e c’è il cane che intralcia chi procede in senso contrario: quando capita a me, penso “ma non potrebbe tenerlo al guinzaglio?”.
Già, perché si pensa pure; qualche volta penso di eleggere la marciatrice più ben fatta: viso, petto e cosce; culo, se inverto la rotta… I corridori più anziani mi incuriosiscono, perché io, l’ho già detto, da qualche anno ho smesso di correre… Sono smilzi, agili e veloci, ma anche grassocci, lenti e sbilenchi i corridori anziani… I giovani sono in genere aitanti, portano il braccialetto elettronico; e corrono davvero.
Alcuni corrono a gruppi di tre, quattro e cinque, c’è quello più chiacchierone; ma le donne, in mezzo a loro, sono più assorte, concentrate: faticano di più.
C’era la vecchia che incontravo tutti i giorni: col bastone, dritta come il suo bastone, accompagnata da qualche parente premuroso; poi, l’ho vista su una carrozzella, ma fiera e altera, come sempre. Da un po’ di tempo non la vedo più.
Gualtiero