racconti dalla quarantena

Coronavirus, effetti collaterali

Redazione

lbaldini

racconti dalla quarantena: resoconti di giornate fra cucina e soggiorno percorrendo viaggi fantastici o meno.


Roma, 4 maggio 2020


Dialoghiamo. Dice lui: “Ma no, guarda che la quarantena in casa non cambia molto le nostre abitudini”. Io dentro di me non cambio idea; qualche cosa cambia, eccome. Intanto le tre ore del mattino, che trascorrevo al Centro Anziani? Quelle infuocate partite a tressette? Le giocavamo anche per far contento Fulgenzio, al quale le carte erano rimaste l’unico grande valore della sua vita. Ci racconta spesso Fulgenzio che alle Ferrovie, dove lavorava di notte, di lavoro da fare c’era quasi niente (?); e “facevamo tante ore di tressette”.

Dunque, ci sono anche queste tre ore da riempire. E così sono tornato a leggere anche romanzi ponderosi, come “Ognuno muore solo” di Hans Fallada, scritto fitto, fitto; e di 740 pagine! Ma è un regalo. Che fai? Non lo leggi? E se il donatore ti fa qualche domanda imbarazzante? Meglio leggerlo, magari a piccole dosi, che intanto tempo ce n’è…

Qualche lettura in più sull’Economia che incombe vuoi che non la faccia? Il debito alle stelle; e lo spread pure lui; e tanta gente che non arriva più a fine mese; ma anche tanti benestanti (notai, imprenditori e che ne so io) che si mettono in lista per i 600 Euro, elargiti dal governo. Fatta l’Italia, gli Italiani quando li facciamo?

E poi più cura per il corpo, ginnastica fatta in casa insieme alla pasta e fagioli o agli gnocchi. Anzi oggi mi voglio misurare la pressione, che è un po’ di tempo che la trascuro. Santo cielo! I battiti oscillano fra i 28 e i 31… Sai che c’è? Chiamo subito la mia dottoressa. Occupata: con la fifa del coronavirus, tanta gente che chiede informazioni, che cerca rassicurazioni, consolazioni …

Allora, chiamo una mia nipote, medico di lungo corso. Ciao, zio. Come va? E io le racconto “così e così; e bla bla bla”. E lei: dimezza la pasticca che prendi per tenere a bada la pressione e fatti un tè forte, addolcito… col limone” (fa la spiritosa, vizio di famiglia). E io. Addolcito con lo zucchero, volevi dire! “No, no perché voi, a una certa età, siete tutti un po’ diabetici”.

Riattacco il telefono, che subito squilla: è la mia dottoressa, sempre solerte nei confronti dei suoi assistiti. Non le dico di avere sentito mia nipote, ma anche lei dice “dimezza la pasticca e vedremo”: “Vedremo” è un suo pluralis maiestatis o veramente vuole coinvolgere anche me nel problema? Eh, io vorrei partecipare. Anche perché la pressione è mia; e me la voglio gestire… pure io.

Passa qualche giorno e il cuore continua a fare il folletto (a proposito fra un po’ mi telefonerà – come fa ogni giorno – la Ditta Folletto, che al solito manderò a quel paese). Allora, entrano in azione i figli, che già troppo si sono frenati e decidono l’intervento di uno specialista, un cardiologo che sia di chiara fama, o perlomeno di indiscussa capacità. E il cardiologo arriva con mascherina, una borsa, un borsone e lo zaino: Ma che, dopo, andrà a fare un trekk solitario? No, proprio no; dalla borsa estrae l’occorrente per un elettrocardiogramma, risultato: tante extra-sistoli (?); e dal borsone esce l’armamentario per un econonsocosa. A conclusione di una accurata perlustrazione, in lungo e in largo, sul mio cuore, il cardiologo decide: “la pillola non si dimezza, ma si cambia proprio; e subito un holter e, fra qualche giorno, esame del cuore sotto sforzo”. La visita finisce qui: 300 Euro. Faccio subito l’holter: solo 110 Euro.

Una nuova visita in clinica e l’esame sotto sforzo, un costo che è solo la metà del precedente, soddisfano il cardiologo, che mi dà la buona nuova, un’ottima notizia dice: “le coronarie stanno a posto, i battiti al ribasso (che però ci sono eccome; sono soltanto silenziosi: hanno a che fare con l’ipertensione (battiti silenziosi, ecco un bell’ossimoro!).

La certezza su questa diagnosi – aggiunge – ce la darà una tac alle coronarie. Il costo qual è?, chiedo (e ostento serenità). Se fatta seriamente, un migliaio di Euro… “Ma è urgente?”, chiedo timidamente – a serenità smarrita – con un fil di voce. E lui: “Possiamo aspettare cinque o sei mesi e vedere se riaprono ‘sti ambulatori pubblici”. Appunto, possiamo aspettare, penso rassicurato. Aspetteremo; anzi, aspetterò.

Riassumendo l’evento, mi sto chiedendo: “E chi non ha i miei 1.300 Euro di pensione, integrati dai 1.700 di mia moglie; e un gruzzolo in banca?”. Auffa, pensa qualcuno: “La butti sempre in politica!”.

Gualtiero


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