racconti dalla quarantena

Festeggiare

Redazione

lbaldini

racconti dalla quarantena: resoconti di giornate fra cucina e soggiorno percorrendo viaggi fantastici o meno.


Roma, 26 marzo 2020.


È il 23 marzo del 2019 e Massimo ed io decidiamo di festeggiare i 40 anni del nostro rapporto. Già, nella notte tra il 22 ed il 23 marzo del 1979 dopo due o tre ore di continue chiacchiere (che in realtà duravano da più di due mesi) finalmente rompiamo gli indugi e ci arrendiamo ad un amore travolgente, facendo seguire alle chiacchiere anche i fatti. La nostra storia è andata avanti così a lungo che col tempo ci siamo sposati, abbiamo fatto due figli, abbiamo affrontato insieme momenti belli e momenti complicati e dolorosi un po’ come tutte le coppie e siamo arrivati a 40 anni di piccola e grande Storia, quella che raccontano i libri perché nel frattempo siamo entrati con le nostre battaglie politiche anche nei grandi eventi che riguardano tutti. Vogliamo festeggiare, dicevo, senza accontentarci della solita cenetta romantica. No, ci regaliamo uno spettacolo al Teatro Argentina Un nemico del popolo, con Popolizio, alle 19 di sabato. Che problema c’è? Ecco il punto è che io giro con la stampella (ah, il maledetto ginocchio destro) e così siamo, giocoforza, costretti a prendere la macchina, i mezzi pubblici di Roma non sono attrezzati per una seminvalida, seppur momentaneamente seminvalida, i taxi costano troppo, semmai ne prendiamo uno per l’ultimo tratto, lasciando la macchina il più vicino possibile a largo Argentina. Bene, partiamo con un largo anticipo, si sa come vanno le cose con il traffico romano. Siamo a pochi metri da Piazza San Giovanni, quando vediamo che la strada è interrotta, ci sono poliziotti e vigili che fermano tutte le macchine. Ecco un sabato qualunque a Roma: c’è una manifestazione in difesa dell’ambiente, una delle tante del 2019, l’anno del risveglio delle coscienze ambientaliste richiamate da Greta Thunberg. Ne abbiamo fatte tante anche Massimo ed io e mica solo quest’anno, noi le abbiamo fatte dall’inizio degli anni ottanta, ma questa volta non ci siamo informati, anzi ci siamo proprio dimenticati presi come siamo dall’idea dei nostri 40 di vita di coppia. Tentiamo di intrufolarci in una strada laterale che ci rimanda esattamente dove c’è il blocco. Ci accorgiamo che a fianco delle rotaie del tram c’è un posto libero, chiediamo ad un poliziotto se possiamo passare per parcheggiare, tanto, dove andiamo con la macchina? Parcheggiamo e ci avviamo verso la metropolitana. Fare quei pochi metri che ci separano dalla fermata San Giovanni, con la stampella e chiedendo a donne e bambini, a ragazzi, a uomini di ogni età di passare perché cominciamo a temere che il tempo a disposizione non sia più sufficiente, è un’impresa, una vera impesa. Arriviamo alla fermata e zacchete! La fermata è chiusa. E che non lo sappiamo che quando le manifestazioni si chiudono a San Giovanni chiudono la fermata metro? Certo che lo sappiamo, ma chi ci ha pensato in quel momento? Avviarsi verso Re di Roma? Con la stampella? Di corsa? E che sono Enrico Toti? No. Ci arrendiamo e chiamiamo un taxi che ci venga a prendere a Via Magna Grecia, ma contemporaneamente vediamo se passa un autobus che quanto meno ci avvicini al teatro (sempre perché non siamo come i signori abituati a prender il taxi). Nessuno risponde, ritentiamo (o meglio è sempre Massimo che prova) più volte senza ottenere risposte di alcun tipo se non quelle del mal di stomaco da gastrite che comincia a farsi sentire, insieme a qualche bestemmia di Massimo. I minuti passano, cerchiamo di chiamare il teatro per capire se lo spettacolo inizierà puntualmente. Ci sono sempre tanti ritardi a Roma, potrebbe anche essere. Dal teatro non rispondono. I minuti passano e, finalmente anche un autobus che può andar bene, lo prendiamo al volo. Beh, proprio al volo no, io ho sempre la stampella che fa sì, però, che mi cedano un posto a seder sul mezzo. Dai che forse, se ci dice bene, ce la possiamo fare, continuiamo con le telefonate al teatro, ma niente da fare, nessuna risposta. L’autobus va piano, piano, piano e si ferma. La linea è deviata, non si può proseguire. Scendiamo, smadonniamo perché avremo fatto sì e no due fermate, siamo ancora lontani, non ce la faremo mai neanche se ci potessimo mettere a correre. Di nuovo chiamate al taxi e al teatro. Quasi contemporaneamente nella strada buia e silenziosa passa, casualmente, un taxi che chiamiamo con il metodo visto in tanti film americani, quello del braccio teso e quello si ferma; rispondono dal teatro che in qualche modo ci faranno entrare se non è iniziato da molto lo spettacolo. Il tassista comprende la nostra fretta, la nostra ansia e va veloce per strade silenziose e buie e in men che non si dica giungiamo alle 19 in punto davanti all’Argentina. Scendiamo, entriamo con i biglietti tra i denti e troviamo un’amica: Valentina che ci introduce al nostro palchetto (ma è poi il nostro o ci ha messo a disposizione uno migliore? Ho l’impressione di sì) e lo spettacolo inizia. Tiriamo un sospiro di sollievo.

Ce l’abbiamo fatta, ma che avventura! Altro che Odissea. Ulisse non ha dovuto attraversare tutte le nostre peripezie. Non so se definirci i moderni Ulisse o se paragonarci ai protagonisti di L’avventura di due sposi, in entrambi i casi si tratta di due grandi della letteratura, Omero e Calvino e non è poco. Riusciamo a goderci lo spettacolo nonostante tutta l’ansia provata e l’adrenalina ancora in corpo perché lo spettacolo è coinvolgente, molto attuale e Popolizio meraviglioso.

All’uscita prendiamo un taxi che ci porta davanti al ristorante che abbiamo prenotato e dopo cena un mezzo che ci riporti alla macchina a San Giovanni. Anche la cena è ottima, a base di pesce, ovviamente. Come festeggeremo il prossimo anno? Ecco ora lo sappiamo, in casa e non per scelta, c’è il coronavirus, altro che Odissea e Crostaceria, ho dovuto preparare io il couscous con i crostacei.

Caterina B.


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