racconti dalla quarantena: resoconti di giornate fra cucina e soggiorno percorrendo viaggi fantastici o meno.
Roma, 11 giugno 2020
“Ma non si scrive così!” – fa il saputo; lui sa l’informatica e, perciò, sa pure l’inglese; vabbè, ciavrà pure raggione, ma a me locchedaun dà il senso di una situazione squillante e irripetibile che, se non ne approfitti, poi te ne pentirai; ogni passata è persa, come si dice. Sarà per quest’ultima ragione che ci siamo messi a parlare di scuola. Tutti. Lo scopino per strada (sì, una volta, ma adesso è l’operatore ecologico); pure il negretto amico mio, che è tornato a fare i mucchietti di foglie in lungo e in largo sotto casa. “Hai detto negro, sei razzista; e potevi dire, invece, ‘di colore’, ‘un extra’, ‘di colore diverso (dal nostro)’, o, meglio, ‘diversamente colorato’. Sì, ma io nella scodellina ci metto un cinquantino e a te, ti ho visto mettere 10 centesimi. Io sono razzista, ma tu ciai la coscienza sporca e te la lavi con l’epiteto “di colore” e con l’immaginoso “operatore ecologico”. E la fine che ha fatto il Fabrizi bidello?
Tutti a parlare di scuola. Che è, come si sa, un problema importante; specialmente se hai dei figli o dei nipoti colà coinvolti. Io ne ho parlato mentre facevo la fila alla Conad, in realtà ne ha parlato Lui che, intanto, sapeva come stanno veramente le cose a proposito del ‘covid’ (è uno sfegatato della curvasud… razziale, che l’altro giorno era stato al Circo Massimo: slogan più gettonato: “aritòrnate da ‘ndo sei partito”; e, sottinteso, “sinnò te ce manno io a carci ‘n culo”). Lui dice che ‘sto covid è tutta ‘na montatura’, poi aggiunge, ma a voce squillante – non usa la mascherina – che l’ha inventato una precisa parte politica, per arricchire quelli che prima gli era stato detto “mettetevi a fare guanti e mascherine”. “Ma della scuola che dici?”, gli dico. Risponde facile facile: “Hanno fatto un gran casino, hanno fatto, ma mo’ basta che dividono le classi e chiamano i 100-120.000 necessari, fra maestri e professori, i soliti amici; e amici degli amici”.
Lo scopino in realtà è una scopina, piuttosto giovane, mi sembra, anche infagottata com’è. Dice: “La Scuola è un problema primario per il futuro del Paese – questa mi sa che è di sinistra, penso io – e spendere per la Scuola è un investimento, non è un costo – e questa mastica pure un po’ di economia politica – e, siccome le lezioni a distanza hanno approfondito il solco fra ricchi e poveri, bisogna tornare quanto prima a fare lezione in classe”. Mi pare che anche qualche intellettuale “titolato”, pure lui di sinistra, ha scritto (su Repubblica?) che i vantaggi di vivere la classe sono incalcolabili, al confronto della telescuola. E io che mica ci avevo pensato. Però mi ricordo che già al bar sotto casa uno dei commentatori del lunedì, certamente meno titolato, aveva detto sussiegoso che “la Juve vince sempre perché la classe è classe”.
Pure il negretto amico mio cià da dire la sua. Ma sta attento a usare le parole, perché sa che poi lo correggo e, se mi scappa la pazienza, gli rifilo pure uno scappellotto; come certamente avrà fatto don Milani coi suoi allievi, sicuro com’era che, se chi ti comanda sa 100 parole più di te, poi parte avvantaggiato e non lo ripigli più. Ma che mi dice l’amico mio? Dice che suo figlio di sei anni andava in prima, ma chiuse le scuole, non ha potuto fargli seguire le lezioni a distanza (ma questa parola, la distanza, quanto è diventata importante!), perché in casa non avevano la tavoletta (tablet, lo correggo) e gli è arrivata solo dieci giorni fa, che l’anno era quasi finito…
E dire che una mia amica si preoccupava che non si affrontasse in modo serio e approfondito, e in tutta fretta, il problema della Scuola…
Gualtiero
Locchedaun è bello Gualtie’, è proprio bello e sa di romano verace.
La scuola dici tu? Vero un disastro quella a distanza. E che non lo sapevamo che la scuola ha bisogno di persone che si incontrano e confrontano dal vivo per funzionare? Che si ascoltano ed interagiscono guardandosi negli occhi, sbuffando e riprendendo (sbuffano i ragazzi, riprendono i professori, si sa). La scuola ha orari e spazi determinati, riti, come tutte le attività umane, riti che hanno segnato tutti noi e, forse, proprio per questo ognuno mette bocca e dà fiato alle trombe, dicendo minchiate. D’altra parte è un’arte sopraffina quella di parlare di tutto, anche quando non se ne sa nulla, anzi più non si conosce l’argomento in questione più ci si ostina a tirar fuori dal cappello le proposte più “fantasiose”. Di fantasia ne abbiamo usata tanta noi prof in questi mesi di “sospensione delle lezioni”, perché parlare di didattica a distanza, di lezioni e di interazione davanti ad uno schermo, spesso con riquadri neri, con parole interrotte a causa della connessione ballerina, risposte non pervenute, ragazzi “perduti” e che abbiamo cercato come la maestra del film “Non uno di meno”, lavori copia e incolla, è stato proprio un bel parlare. Ecco in tutto questo la fantasia è stata necessaria. Chissà poi a settembre…
Caro maestro, cara maestra. Mi ricordate il paese mio dove alle elementari eravamo tutti uguali. Figli dei contadini, figli dei braccianti, figli dei signori. O almeno l’abbiamo creduto per qualche anno.