racconti dalla quarantena: resoconti di giornate fra cucina e soggiorno percorrendo viaggi fantastici o meno.
Roma, 21 marzo 2020
Chi ce lo avesse detto, solo qualche settimana fa, che ci avrebbero vietato di uscire di casa! Che ci saremmo dovuti inventare pretesti per prendere una boccata d’aria e fare due passi, nei limiti della legalità e nel perimetro del condominio!
Che in famiglia ci saremmo contesi il privilegio di andare in cantina a prendere una bottiglia di passata.
Che lasciar cadere “casualmente” dalla finestra un tappetino o uno straccetto da spolvero potesse costituire un pretesto per andare in cortile, scusa infantile come quella dei bambini che fanno cadere volutamente il pallone per poter andare a tirare almeno due calci.
Che la seccatura di buttare il “sudicio” – come dice la mia vicina, originaria di Sorano – sarebbe diventata di colpo un piacere, suddivisibile – e perciò moltiplicabile – su quattro giorni (organico, carta, indifferenziato, plastica & metallo). In questo sono fortunata perché ho un percorso abbastanza lungo da coprire: scendere quattro piani di scale, attraversare il piano pilotis, percorrere circa cento metri di vialetto fino ai secchioni condominiali e tornare indietro. Quasi una mezza maratona.

Che sarebbe stato di colpo irrimandabile salire in terrazza ad armeggiare attorno all’antenna televisiva per migliorare la ricezione del secondo canale. Che non guardiamo mai.
Che non si sarebbe potuto fare a meno di controllare giù in garage se l’ombrello azzurro fosse per caso in macchina (anche se non piove da tre mesi e forse non pioverà per altrettanti).
Che l’ascesa alla citata terrazza avrebbe svegliato in noi un sussulto di volontariato condominiale e ci saremmo dedicati con entusiasmo a spazzare gusci di pinoli, grattare via escrementi di cornacchie, rimuovere muschio dagli angoli, cogliendo magari l’occasione per fissare un po’ di vitamina D.
Che ci saremmo ridotti ad inventare scuse per giustificare piccoli allontanamenti. Manco fossimo il tizio della pubblicità del Prostamol.
Marina M.