racconti dalla quarantena: resoconti di giornate fra cucina e soggiorno percorrendo viaggi fantastici o meno.
Roma, 13 aprile 2020
Viaggio all’interno di casa mia in ottanta (speriamo di no) giorni (10)
Le dipendenze sono brutta cosa. Eppure senza le pulizie della mattina sarei perso. E allora la giornata inizia con una corrispondenza di amorosi sensi con la scopa e lo strabbietto. Nella lingua dei concittadini di Federico II (Jesi e dintorni) il termine strabbietto va ad indicare l’attrezzo utilizzato per nettare i pavimenti con l’aiuto dell’apposito panno. In alcuni casi, nella mia famiglia, lo stesso utensile è stato adoperato anche come giavellotto da scagliare contro un figlio “impostore” o come minaccia di un’incombente punizione.
Ma veniamo alla regina della casa: la scopa. Ahimè anche in questo settore un consumismo sfrenato ha moltiplicato le varianti e risulta arduo restare aggiornati sulle innovazioni. Io, in genere, non disdegno le novità, ma in questo caso mi sono concesso una sola deviazione dalla tradizione. Niente scopa elettrica, niente robot, ma la versione con le setole di silicone mi ha subito affascinato. In realtà, in questo mese di uso e abuso, non ho ancora capito, se funzioni o meno, tuttavia ormai ci sono affezionato e io non sono solito abbandonare gli amici.
Nel ramazzare su e giù per casa mi sono chiesto più volte da dove nasca questo trasporto verso le scope, perché in effetti, pensandoci su, non é che questa sintonia sia nata ora, in questa triste contingenza. Chi se le dimentica le nottate di sorveglianza alle Feste de l’Unità passate con la scopa in mano. La ricerca del mozzicone e della cartaccia diventava l’unica alternativa ad un non dignitoso afflosciarsi su una sedia. Una sentinella comunista vinta dal sonno, non era pensabile, così quel manico si trasformava in un’ancora di salvataggio a cui aggrappare i residui di vitalità. E vai, come un pendolo solcavo piazza dei Mirti o piazza dei Gerani cercando di tenere, senza risultati apprezzabili, tragitti razionali. Il poveretto che capitava di turno insieme a me, cercava con le chiacchiere di sopraffare il sonno, ma per farlo mi doveva correre dietro su e giù per la piazza. Alle due o tre di notte, in genere, sfibrato si accasciava da qualche parte. Il canto degli uccelli e il freddo intenso annunciavano l’alba e finalmente la scopa andava a riposare.
Quando le feste si concludevano i mattoncini di piazza dei Gerani erano tornati a nuova vita, certo erano molto più brillanti loro che noi, letteralmente distrutti da quella fatica.
La mia consuetudine con la ramazza mica si limita però alla sola festa del Partito.
Vista l’attuale contingenza, il dramma dei rifiuti romani sembra esser cosa di qualche secolo fa, ma nei mesi, anzi anni, passati i cumuli di immondizia hanno invaso spesso le strade della nostra Capitale. Di fronte a tale scempio le mani mi prudevano, come si faceva a star fermi. Eccomi così con scopone, guanti, rastrello a sgomberare e ripulire passi carrabili e percorsi pedonali. Poi è arrivato il signor Smith che ci partiva da Anzio per spazzare le strade di Centocelle! Che tenerezza quella sua scopetta da soggiorno utilizzata per nettare i sgarrupati marciapiedi romani! Oggi col coronavirus non si vede più neanche lui, ma questa è un’altra storia. Io intanto continuo nelle pulizie, è il momento di dare lo straccio. Resistere e pulire, pulire e resistere: ce la faremo.
Luciano B.
Spazzando su e giù nello spazio e nel tempo, davvero delizioso!
Lo strabbietto è eccezionale. Luciano, quando finisci da te, magari di nascosto, vieni a passarli anche a casa mia? Che noia le pulizie di casa! preferisco allora quelle che si fanno una volta ogni tanto e che richiedono una fatica molto maggiore, ma almeno danno la soddisfazione di non doverle ripetere così frequentemente e monotonamente. A Pasqua e Pasquetta mi sono dedicata a due balconi: una fatica immensa, però chissà quando si ripeterà. E questo è il bello.